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Saggio sul pallone e la condizione umana
Autore Giancristiano Desiderio, Limina Edizioni, €. 13,50

Le evoluzioni filosofiche di una sfera plasticosa
Un amaro dribbling «Il pallone è talmente mobile che ci si stupisce quasi che dalla sua continua danza possa nascere un gioco come quello del calcio che è sìmovimento ma anche ordine, perfezione, limite». Un richiamo all'antico Panta rei di greca memoria

Tutto è simbolo, tutto è analogia, diceva Pessoa; e naturalmente anche il calcio è simbolo, è analogia. Ma non tanto della vita (senz'altro anche della vita, ma è fin troppo ovvio), quanto dei tempi che viviamo, qualunque sia il tempo vissuto. Vale infatti il multiforme principio «chi si somiglia si piglia», uno dei più incontrovertibilmente veri del mondo. E non è bello lo sport di questi tempi, tempi di "senzabaggio". Dobbiamo accontentarci di campionati che nascono morti, di soldi che sommergono la competizione, di campioni indaffarati a cercare nuovi abbigliamenti e capigliature sempre più improbabili. Non ci rimane che consolarci con il ricordo e con la speranza, cioè con le due facce della stessa medaglia dentro la quale adesso siamo semplicemente schiacciati, come soffocati. Ripensiamo ai tempi passati, lontani, lontanissimi o quasi vicini: tutto sommato Baggio è appena due minuti che ha smesso, eppure sembra passato un secolo. Oppure confidiamo nel futuro e nel frattempo filosofeggiamo. Forse è questa la ragione per la quale il calcio e lo sport appaiono ora sempre più presenti nella letteratura, italiana e straniera, perché ogni vuoto ha da essere colmato: non sono più solo Cela o Soriano e Galeano, adesso leggiamo bellissime pagine anche da Vladimir Dimitrievic a Javier Marìas. Addirittura il grande Carlo Sini ha scritto di calcio e filosofia, dicendo: "C'è qualcosa di più teoretico, cioè di più filosofico, del gioco del calcio? Riflettete. È un gioco di squadra e, come tutti i giochi di squadra, esige una politica intersoggettiva: bisogna assegnare i compiti e i ruoli secondo giustizia, come diceva Platone; cioè tenendo conto delle disposizioni naturali di ogni giocatore e poi della sua buona volontà di apprendere e di collaborare; e ci vuole un leader, un capitanofilosofo che metta la sua intelligenza ed esperienza al servizio dell'interesse collettivo, cioè della vittoria finale. Ma per far questo occorre una straordinaria capacità di visione, un peculiare theorein che certo si affina col tempo, ma che è in gran parte una virtù innata, qualcosa che non si impara e che è piuttosto un dono divino o più che naturale. Si tratta della mai abbastanza lodata capacità di vedere il gioco". Ora su calcio e filosofia compare anche questo bel libro di Giancristiano Desiderio ("Platone e il calcio", Limina, 2005, pp. 106, euro 13,50), trentottenne vicedirettore del quotidiano L'indipendente, già autore di molti altri libri anche su altri temi della vita e della politica. Il libro non è riducibile ad unum, in quanto ricco "saggio sul pallone e la condizione umana" (questo è il sottotitolo): spazia dall'applicazione delle teorie platoniche a quelle di Heidegger, dalla descrizione dell'ineffabile (la grazia di una finta di Garrincha o dell'incedere di Beckenbauer) ad aneddoti letterari (Camus giocava a calcio, era portiere; Heidegger andava matto per Beckenbauer). E soprattutto contiene il riconoscimento di molte verità, come quella d'apertura: "il gioco del calcio è il proprio tempo appreso con i piedi o preso a calci ... se i tempi sono brutti, il calcio sarà brutto, se i tempi sono belli, si giocherà un bel calcio ... il calcio siamo noi". O come quest'altra: è sempre il gioco il vero protagonista in campo, anche quando è giocato dai più grandi giocatori, anche quando a fare gol sono Di Stefano, o Puskas, o Eusebio, o Pelè, o Maradona o Van Basten. Fra gioco e giocatori esiste lo stesso rapporto che eterna l'artista attraverso l'opera d'arte: l'opera d'arte trascende l'artista - il quale infatti non è tenuto neppure a spiegarla, anzi forse neppure sa o saprebbe spiegarla, e non importa, perché ciò che doveva essere detto è già detto lì, e ciascuno di noi vi presterà l'ascolto che vorrà, o che potrà - e così il gioco trascende i giocatori, nel senso che ciò che conta è il gol, il dribbling, l'assist, non chi li fa. O meglio, chi li fa è grande proprio in quanto ha lasciato che fossero. E' stato forse una persona, un mezzo, un tramite per far accadere il bello, l'imponderabile, la giocata fantasiosa o il colpo d'ala che lasciano invariabilmente a boca aperta. Per spiegare l'una o l'altra o l'altra ancora di queste verità, Desiderio prende le mosse da domande maieutiche, come Socrate; e poi attinge alla dialettica di Hegel (la verità secondo cui il gioco del calcio è il proprio tempo appreso con i piedi è la trasposizione della massima secondo cui la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero) o alla metodologia di Gadamer (cui appartiene l'intuizione che il soggetto del gioco è il gioco stesso, che si produce attraverso i giocatori). Ma a questo punto verrebbe da chiedere: la tesi di questo libro, insomma, dov'è? Ma è proprio detto poi che ogni libro debba avere per forza una tesi? No, non è necessario, naturalmente. I libri sul calcio sono belli anche così e, quando sono belli, sono belli anche per questo, anche senza una tesi; sono come una palla che rotola e va di qua e di là e tocca e suscita emozioni e ricordi e riflessioni e poi prosegue ancora. Panta rei, diceva Eraclito e dice infatti anche Desiderio: "il pallone è talmente mobile che ci si stupisce quasi che dalla sua continua danza possa nascere un gioco come quello del calcio che è sì movimento, ma anche ordine, perfezione, limite" e nella palla che scorre non c'è solo la continua mobilità delle cose "ma anche un interno logos che le ordina attraverso il contrasto". La tesi di Desiderio non è allora che in questa volontà di esprimere il proprio punto di vista, in questo tentativo riuscito di dire l'ineffabile bellezza del calcio attraverso l'astrazione del pensiero, applicata sì a giocatori in carne e ossa ma molto, molto più in alto dell'ora e del qui che stiamo attraversando. di Niccolò Nisivoccia

La filosofia e il calcio hanno qualcosa in comune: Platone. Si può fare filosofia parlando di calcio e, d'altra parte, il gioco del calcio si fa ben comprendere solo dalla filosofia.
Martin Heidegger, che da ragazzo giocò nel ruolo di ala sinistra, diceva di Franz Beckenbauer: «è un giocatore geniale». Il giudizio del mago di Messkirk dipende dalla sua gioventù calcistica, ma anche dalla sua ontologia nella quale se troviamo la questione dell'essere possiamo ritrovare anche la questione dell'essere del calcio. Platone e il calcio gioca con la dialettica dell'essere del calcio e dell'essere della filosofia fino a trasformare la congiunzione in copula e giungere alla conclusione che Platone è il calcio.
Il gol di Pelé all'Italia nella finale mondiale del 1970 non è solo un gol ma l'apparire di un'idea platonica. Il dribbling di Garrincha e la punizione di Platini possono essere pensati come modelli ontologici. E come l'inventiva di Maradona si può capire con la "logica poetica" di Giambattista Vico, così la visione di gioco del "divino Falcao" si intende al meglio con la visione dell'essere del "divino Platone".
Non bisogna stupirsi dell'affinità tra il calcio e la filosofia. Epitteto nelle Diatribe ci dice che il primo a giocare bene a palla era, guarda caso, Socrate, e il suo pallone era la vita. La condizione del giocatore è come quella del filosofo, cioè di Eros: non possiede la sapienza calcistica, ma la ama e la ricerca. E, come dice l'Apologia, la vita senza ricerche non vale la pena di essere vissuta.

Giancristiano Desiderio (Pompei 1968) È vicedirettore de "L'indipendente". Collabora con il settimanale "Corriere della Sera Magazine". Nel 2003 ha pubblicato Morte (senza nostalgia) dell'Intellettuale e Le uova e la frittata. Filosofia e libertà in Benedetto Croce, Hannah Arendt, Isaiah Berlin. Vive tra Roma e Sant'Agata dei Goti.

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