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Le identità rimosse dei teppisti

   

«Tel chi el Zamora», sibila l'ingegner Gusberti, mentre intorno i tifosi ricordano le tante vittorie del «divino». Plastico, fantasioso, imbattibile... Quasi riuscì a impedire all'Italia di diventare per la prima volta campione mondiale. Il 31 maggio `34, ai quarti di finale della Coppa Rimet, parò tutto il possibile. E così, dopo i supplementari, il match Italia-Spagna rimase 1-1 (allora non c'erano i rigori risolutivi). E l'Italia risolse 1-0 solo nella rivincita, assente Zamora per infortunio. «Tel chi el Zamora». Un bel complimento per qualunque portiere, tranne che per il ragionier Vismara, inguaribile schiappa, bersagliato dalle reti e dall'ironia dei suoi. Walter Vismara è il protagonista del romanzo Zamora (Garzanti, pp. 137, 10 Euro), prima prova del giornalista sportivo Roberto Perrone. Un romanzo sulla calciomania anni sessanta nell'Italia del boom economico e della ricostruzione. È ambientato nelle fabbriche dell'hinterland milanese, dove padroncini vogliosi d'investire nel calcio mercato obbligano i loro dipendenti a sfibranti partite in vista del match annuale scapoli-ammogliati. In una di queste aziende, il povero ragionier Vismara, digiuno di calcio e di esperienze, sopporta tra i pali il supplizio settimanale per conservare il posto di lavoro. Ma poi, su consiglio della sorella Elvira, andrà a lezione dal Cavazzoni, grande portiere caduto in disgrazia, e scoprirà di avere la stoffa da autentico numero uno. Lieto fine con ingaggio? Macché. Il nostro Rocky modello aziendale resterà immune dalla passione calcistica, che pur ha messo in moto la rivalsa, l'amicizia, la scoperta di sé. E il ricordo dell'umiliazione subita gli resterà impresso più di quel momento di gloria vissuto da Zamora. «L'Italia è forte, c'è Vieri, dovrebbero farlo marcare a uomo, Zidane però è inarrestabile...». Calciomania anni novanta, invece, nel romanzo di Enrico Palandri L'altra sera, edito da Feltrinelli (pp. 175, 13 Euro). Calcio e tifo scatenano sentimenti nascosti, condizionano le scelte dei protagonisti in una Parigi che ospita i Mondiali del `98. Giacomo, un giornalista al culmine della carriera, ha insistito per fare la cronaca delle partite, benché lo sport non sia proprio il suo campo. In verità vuole rivedere la ex-moglie, a cui è ancora legato, e i tre figli ormai grandi. Vorrebbe ricucire un'esistenza slabbrata, che rischia di avvizzire nel tiratardi delle sue serate in redazione. Con un registro intimo e poetico, Palandri segue i pensieri di Giacomo, intercalati da quelli dei due figli più grandi, e snoda i fili di una vicenda che, però, si svolge tutta all'esterno dei personaggi. Le cose precipitano, infatti, quando scoppiano i tafferugli provocati dai tifosi inglesi e dalle teste rasate prima della partita. Giacomo, che sta aspettando il resto della famiglia, vede salire la tensione, alimentata dagli hooligan che grondano xenofobia. Un ragazzino viene accoltellato a due passi dal giornalista, che si impegna a soccorrerlo. Tra i boulevard di Parigi, gli hooligan scatenano la caccia all'immigrato. Intanto, la figlia di Giacomo, incinta, resta intrappolata in un negozio. L'altro figlio, Gianni, che indossa magliette col ritratto di Marcos e Che Guevara, si unisce a un gruppo di kurdi che reagiscono alle teste rasate. Perché tanta follia? Mentre la città è in preda agli scontri, il giornalista riflette sui risvolti politici della violenza calcistica e osserva la folla «in cui gli altri non sono più altri ma un'amplificazione di identità rimosse, un noi impazzito». Voleva scrivere di calcio «per non scrivere più di politica». Ma, dopo quella giornata, sa che invece dovrà ricominciare.

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