I globuli azzurri
Da Vinicio a Stellone, una malattia da stadio. Di Carlo Correra, tenera storia autobiografica di tifo per il Napoli
Íl 14 febbraio, giorno di San
Valentino, è stato presentato, alla libreria Feltrinelli di Napoli, un
libro su un amore speciale. Quello, particolare e totalizzante, per la
maglia azzurra, la storica casacca della squadra di calcio partenopea
che ha il color del cielo e del golfo. Il volume, ricco di cronaca,
aneddoti e ricordi autobiografici, ha per titolo I
globuli azzurri (ossia come ci si ammala da piccoli e per
sempre di tifo...per il Napoli), l'ha scritto Carlo Correra, ex
magistrato e avvocato, e l'ha pubblicato l'Esi (pp.186, 13 euro) in un
momento difficile per il club calcistico campano, che veleggia in
cattive acque nel campionato di Serie B, con una nuova dirigenza e
interminabili problemi societari. Quasi cinquant'anni fa i globuli
bianchi o rossi si sono tramutati in azzurri per un bambino che godeva
la privilegiata situazione di andare regolarmente sugli spalti
dell'impianto del Vomero (lo stadio del Littorio poi della Liberazione e
infine intitolato al giornalista Collana) a seguire le partite del
Napoli. Suo padre, guantaio di professione e accompagnatore allo stadio
di un grande invalido di guerra, lo portava alla partita a tre
condizioni: 1) non doveva essere un match importante con tanta calca,
pericolosa per un ragazzino; 2) buoni risultati scolastici; 3) il bel
tempo (perché con gli ombrelli, i piccoletti non vedevano niente). E'
facile intuire che il piccirillo finirà per innamorarsi di quelle
storiche divise, scollo a V e pochi fronzoli, respirando la fever pitch,
quella febbre del campo assicurata dal posto fisso, ogni domenica
(niente posticipi, anticipi o idee balzane, allora) a pochi metri dalla
linea laterale, dove sgroppava il Petisso, incurante di sgambetti,
pestoni e rincorse degli avversari. Si rivedono così tanti epici
scontri e l'indimenticabile 4-3 alla Juventus della domenica 24 aprile
1958, una squadra bianconera che diventerà campione d'Italia con
Boniperti, Sivori, Charles ma perderà entrambi i match, andata e
ritorno, col ciuccio di Bugatti, Vinicio e Di Giacomo. Il 4-3 che
precederà l'Italia-Germania del 1970 all'Azteca nel cuore dei tifosi
azzurronapoli.
Dall'anno successivo «la malattia» si spostò nel nuovo stadio di
Fuorigrotta, il San Paolo dei centomila cuori, dove il mare di energia
del pubblico cercherà di spingere la squadra del somarello verso alti
traguardi e finirà per conoscere la serie cadetta, l'invasione di campo
e altre meschinità. Le stagioni della vita e quelle dello sport
preferito si incontreranno ripetutamente dai giorni gloriosi di Canè e
Altafini fino a quelli di Krol. All'agognata conquista dello scudetto,
con Maradona, il bambino di un tempo ha ormai un lavoro al tribunale e
due figlie grandi. Proprio l'avvento del calcio affaristico -con
l'arrivo di maneggioni e profittatori senza scrupoli- deluderà
amaramente Correra, alla ricerca di un'altra etica del tifo, di una
passione radicata che si identificava con l'orgoglio cittadino ma non
solo, dello spirito ironico e fantasioso di quel popolo azzurro stimato
in cinque-sei milioni di persone in tutto il mondo.
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