Autogol! Il campionato ha fatto crac
La crisi economica del calcio nel libro di Liguori e Vincenzi. L'assalto finanziario dei tycoon del pallone
«Non mi piace questo calcio dove
contano solo i soldi, io sono per uno sport di sentimenti e passioni».
La frase, incredibile ma vero, è del presidente del consiglio Silvio
Berlusconi, ed è una delle poche concessioni alla leggerezza che si
permettono Massimo Vincenzi e Riccardo Liguori nel loro "Autogol!
Il campionato ha fatto crac" (Avverbi edizioni, pagine 147, 10
euro). Il libro analizza con cura e rigore le vicende economiche che
hanno caratterizzato il calcio negli ultimi decenni. Il quadro che ne
esce è a dir poco sconfortante. Il calcio è completamente dominato
dall'affarismo e dal denaro; e fin qui nulla di nuovo. La cosa
preoccupante è che le società sono diventate paraventi dietro i quali
gli imprenditori coltivano i propri affari indipendentemente dalle sorti
della squadra che presiedono o governano. Il calcio non è più il fine,
ma lo strumento attraverso il quale i presidenti fanno quadrare i conti
delle proprie imprese.
Berlusconi, Cecchi Gori, Cagnotti, per citare solo i casi più plateali,
non sono ricchi appassionati desiderosi di vedere la propria squadra del
cuore volare in cima alle classifiche. Acquistare una squadra di calcio
non è un vezzo o una passione, ma un affare. Certo, talvolta qualcosa
va storto (vedi Cecchi Gori o il più recente Cagnotti), ma il più
delle volte presiedere una squadra è proprio un affare. Nel
libro-inchiesta dei due giornalisti viene svolta un'analisi
dettagliatissima di uno sport che sembra aver abbandonato del tutto ed
in modo irreversibile la propria missione: lo spettacolo ed il
divertimento. Ci sono i fondi neri del Milan del caso Lentini, il buco
economico di Cecchi Gori, l'assalto finanziario di Cragnotti e relativa
caduta e così via; il tutto analizzato fin nel minimo particolare. Il
calcio vive ormai da più di un decennio al di sopra delle proprie
possibilità finanziarie ed è "costretto" a chiedere soccorso
ai contribuenti come si «trattasse di un qualsiasi carrozzone statale»,
aggiungono i due autori. Manca il senso del pudore a chi gestisce il
campionato di calcio. Il fatto che uno sport diventi un business è
inaccettabile, ma cosa ancor più «straordinaria» è che questo
business, spesso, è gestito da manager incapaci o, bene che vada,
cinici affaristi. Alle spalle e sulle spalle dei tifosi.
Potremmo essere arrivati ad un punto di non ritorno. La «fabbrica dei
debiti» rischia di collassare. Sembra impensabile, viviamo con la
sensazione del tutto infondata che dietro il sipario si nasconda un deus
ex machina pronto a sistemare tutto e far ripartire il baraccone. Ma i
casi di Fiorentina e Lazio devono mettere in guardia. La speranza è che
i presidenti e tycoon del calcio riescano a fare un «passo indietro»,
riconsiderando nuove possibilità di gestione e amministrazione.
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