Mi piace il calcio, ma non quello di oggi
Tecnica, libertà e divertimento. In un bel libro dedicato a chi vuole davvero sapere e giocare, Johan Cruyff racconta l'arte del pallone
Croyff come arrischiavano i fini
dicitori, Crayff come direbbero gli sgangherati spesso di turno nella
tivù di oggi, o più semplicemente Cruyff... Come abbiamo detto in
tanti in quel `68 del calcio europeo e mondiale rappresentato per tutti
negli anni Settanta dall'Ajax di Amsterdam, dall'Olanda e da lui stesso,
che ne fu il massimo campione. Cruyff alfiere del calcio totale e
Profeta del gol, come titolò un film su di lui che circolò perfino nei
nostri cinema, con Sandro Ciotti in veste di narratore. Cruyff che ha
giocato da 14 a 40 anni, tra i due mondi di Ajax, Barcellona, Feyenoord,
Aztecas di Los Angeles e Washington Diplomats (vincendo 7 scudetti, 11
coppe che contano, 3 palloni d'oro). E che ha allenato fino a 50
(guidando il Barcellona in uno straordinario ciclo da 4 scudetti e 1
Coppa dei Campioni). Cruyff che Gianni Brera definì «il Pelè bianco».
Johan(nes) Cruyff ha scritto un libro intitolato Mi piace il calcio (Me
gusta el fútbol, Sonzogno, pp.139, 12,50), al quale nell'edizione
italiana viene aggiunta la significativa postilla Ma non quello di oggi.
Un piccolo trattato sull'arte del calcio, e su quella della fuga con o
senza un pallone al piede, dedicato da un buon Maestro a chi vuole
veramente sapere e giocare, senza dimenticare la libertà degli intenti
e l'efficacia delle finalizzazioni, visto che le azioni, come i gol,
possono essere di innumerevoli tipi (i diritti d'autore, ad esempio,
sono destinati a finanziare i progetti sportivi della Johan Cruyff
Welfare Foundation a favore di bambini e ragazzi disabili). Una lezione
di trasparente leggerezza su come e perché del gioco del calcio, che
fin dall'inizio lascia ruotare il proprio punto di vista intorno a un
paio di concetti che odorano del cuoio dei vecchi palloni: «Il calcio
consiste fondamentalmente in due cose. La prima: quando hai la palla,
devi essere capace di passarla correttamente. La seconda: quando te la
passano, devi saperla controllare. Se non la puoi controllare, tantomeno
la puoi passare».
Due semplici tocchi, giusto per il calcio d'avvio. A 55 anni, Cruyff
parla con il giornalista Sergi Pàmies (che dopo le loro conversazioni
spiega: «Come andare da Picasso a parlare di pittura»), per mettere un
po' d'ordine, ma non troppo, tra i «fondamentali» del suo modo di
vedere il calcio. La tecnica prima di tutto. La tecnica che serve a
dominare il ritmo, il controllo di palla, il passare e ricevere, la
posizione, gli spazi. Strumento indispensabile per insegnare nell'unico
modo possibile, da calciatore a calciatore: non proibendo ma guidando,
trasmettendo oralmente e praticamente («Una delle cose che ho capito da
bambino è che quelli che più si divertivano a insegnarti qualcosa
erano coloro che meglio dominavano il pallone, mentre quelli capaci solo
di entrare sull'avversario, di piazzarsi in campo per fare ostruzione e
di tirare pedate, non avevano nulla da insegnare, anche se, temo,
avrebbero avuto molto da imparare»).
Per giocare bene, si deve giocare in piena libertà e in totale
divertimento («Alla radice di tutto c'è che i ragazzini si devono
divertire a giocare a calcio»), anche per strada e anche cambiando
qualche regola («Quando allenavo il Barça, ricordo che con Koeman o
con Stoichkov giocavamo a non mettere dentro la palla, troppo facile, ma
a colpire la traversa o uno dei pali, proprio per aumentare la
precisione del tiro»). E senza mai dimenticare il senso del calcio («Non
è il buono contro il cattivo e fare in modo che vinca il buono. Il
senso del calcio è che vinca il migliore in campo, indipendentemente
dalla storia, dal prestigio e dal budget»).
Quanto alle regole: ci sono e non possono non esserci. Ma guai a
limitare eccessivamente libertà e creatività («Sul campo è
importante dare libertà ai giocatori, anche se all'interno di uno
schema... La distanza massima che un giocatore deve percorrere
dev'essere di dieci metri... La libertà è ammissibile, solo se si
produce il massimo rendimento dei giocatori di talento... Quello che
conviene insegnare ai ragazzi è il divertimento, il tocco di palla, la
creatività, l'invenzione... La creatività non fa a pugni con la
disciplina»). Mentre il tanto osannato pressing, se non è ben fatto («La
pressione si deve esercitare sul pallone non sul giocatore»), finisce
per diventare uno dei tanti mali che oggi danneggiano il bel gioco («I
passaggi orizzontali... Passare senza guardare il resto del campo e gli
spazi che si stanno creando... Molti soldi, molti avvoltoi»).
Cruyff non vuole discutere di sponsor, diritti d'immagine, pubblicità,
plusvalenze, procuratori, introiti, deficit. Vuole insegnare calcio,
toccando il cuore del gioco, ma insegnando, inevitabilmente aggredisce
anche lo spazio che corre tra il calcio che gli è sempre piaciuto e
quello di oggi, che non piace a lui come a tanti altri. Così finisce
per parlare anche dello spirito più profondo di quelle origini
rievocate in morte di «Pepe» Schiaffino, o tirate in ballo anche da un
gesto minimo come quello compiuto da Hernan Crespo, quando ha regalato a
Ruud Krol la sua maglia-record dell'Inter vittoriosa all'Amsterdam
Arena. Lo spirito del calcio totale che continua a correre, a dispetto
delle marcature del tempo, tra il ringhio di Barry Ulshoff o Johan
Neeskens e quello di Rino Gattuso.
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