Il
mio nome è Nedo Ludi
Autore Pippo Russo, Editore Baldini Castoldi
Dalai, 250 p., euro 14,00
Dal 20 gennaio è in libreria "Il mio nome è Nedo Ludi", primo romanzo di Pippo Russo, edito da Baldini, Castoldi e Dalai. Con questo articolo l'autore ne anticipa il contenuto a Rosso Fiorentino e a Indiscreto.
Tutto inizia il 1° luglio 1989. Come tante altre storie che quel giorno iniziarono, e altre che quel giorno finirono. Una spiaggia sarda, la pausa fra un campionato e l'altro, una notizia che irrompe dalla lettura di un quotidiano. E tutt'intorno la realtà di un 1° luglio 1989. Soltanto 16 anni fa, eppure un altro mondo. Niente telefoni cellulari per verificare immediatamente la notizia. Niente internet per seguirne gli sviluppi in tempo reale. E accanto alle cose che mancavano, tante altre che c'erano allora e adesso non più: il muro di Berlino, l'Urss, il Pci, il nascente pentapartito DC-PSI-PRI-PSDI-PLI (versione Caf, avrebbe visto la luce col giuramento del 6° governo Andreotti il 22 luglio di quello stesso mese). C'era anche un altro calcio. Due punti per la vittoria, tre soli stranieri tesserabili, partite soltanto alla domenica. In quel calcio esisteva ancora il ruolo dello stopper, marcatore a tutto campo del centravanti avversario. Uno stopper era Nedo Ludi, protagonista di una piccola storia incastrata nella grande Storia. La sua è una vicenda mai accaduta, eppure molto vicina a tante vicende minime del calcio d'allora, nell'Italia d'allora. Un'Italia che stava cambiando vertiginosamente senza sapere quanto, con un calcio lacerato da una guerra tra filosofie tattiche presto convertitasi in guerra di religione: uomo contro zona. Contrapposizione d'una virulenza mai vista, al di fuori dei confini italiani. Nedo Ludi gioca nell'Empoli, squadra che ha appena raggiunto la salvezza in serie A per il terzo anno di fila. E' questo il solo strappo che la storia letteraria compie rispetto al corso della Storia; che per il resto viene rispettata in modo rigoroso, per tempi e circostanze. Nell'Italia grassa e ottimista di quel 1° luglio 1989, Nedo Ludi imbocca il suo declino; ma ancora non lo sa. Non era pronto. Ma chi mai è davvero pronto quando gli eventi arrivano addosso? Era uno stopper, nel tempo in cui il ruolo s'apprestava a essere darwinianamente eliminato dall'affermazione del sistema di gioco a zona su quello della marcatura a uomo. La sua età è 28 anni: troppo presto per smettere, troppo tardi per reimparare il mestiere. Apprendendo che l'Empoli ha ingaggiato un allenatore sacchiano non pensa immediatamente alle conseguenze che ciò potrebbe avere per i suoi destini professionali. Piuttosto si preoccupa del perché il vecchio allenatore, un veneto calcisticamente tradizionalista col quale credeva d'avere un rapporto di stima e lealtà reciproche, non l'abbia messo al corrente della sua intenzione di lasciare l'Empoli. Soltanto nelle settimane a seguire Nedo Ludi scopre come di ben altro sia fatto il suo dramma. Il calcio cambia a una velocità vertiginosa, a tutti i livelli: nella tattica, nel linguaggio, nel racconto, nell'organizzazione del lavoro, nella moltiplicazione delle figure professionali. Soprattutto, si complica riempiendosi d'astrattezze e tecnicismi. Nedo si avvede anche di quanto vada diffondendosi la zona nelle categorie inferiori del calcio italiano, e di come ciò sia minaccioso per quelli come lui. Si scopre dropped out. In quanto stopper, egli è la massima incarnazione di un'idea individualista del calcio, fondata sullo scontro "uomo contro uomo". Il lento affermarsi della zona reca con sé una filosofia collettivista che annulla l'individualità e teorizza la perfetta divisione del lavoro sul terreno di gioco, coi calciatori che vengono ridotti alla stregua di ingranaggi. Tutti uguali, e ugualmente sostituibili, in un contesto che nega importanza al singolo. Di più, Nedo scopre che la sua condizione di dropped out è largamente condivisa, e non soltanto nel mondo del calcio. Essa è infatti la medesima che si ritrova ampiamente diffusa nella terra in cui è nato e ha vissuto da sempre: quel fazzoletto di Toscana fra Empoli e Montelupo Fiorentino, andando appena oltre fino alle propaggini della provincia pisana. Un territorio che comincia a scontare le amare conseguenze dei processi di deindustrializzazione, e la crisi da concorrenza estera e da sovrapproduzione. L'industria della ceramica, quella delle confezioni e quella del vetro perdono addetti e competitività, e il presunto modello del distretto industriale mostra nel territorio del circondario Empoli-Valdelsa tutti i limiti di una realtà socio-economica nella quale i piccoli egoismi di bottega hanno regolarmente la meglio sulla necessità di "fare sistema".
Nel pieno della sua crisi personale, sia calcistica che esistenziale, tutto il contesto dal quale Nedo dovrebbe ricevere solidarietà e protezione gli frana intorno. Un processo di disgregazione che tocca il picco di drammaticità una domenica sera, 12 novembre 1989, pausa del campionato di serie A per fare spazio a due amichevoli della nazionale: allorché, a pochi giorni dal crollo del Muro di Berlino e in uno dei territori più rossi d'Italia, arriva con effetti devastanti la notizia della svolta della Bolognina. Niente più Pci entro un anno, sostituito da qualcosa di cui ancora nulla si sa. Un dramma collettivo che si somma a quello personale, e che Nedo vede riflesso nello scoramento del babbo, operaio in una vetreria empolese e militante storico del partito. Quanti drammi attorno a un nome, si disse allora. Dimenticando troppo facilmente che i nomi sono le cose, e le persone, e le storie. Ma non questa è la cosa più importante, nella storia di Nedo Ludi. Semmai, restando in tema di nomi e di parole, è proprio la combinazione "Nedo Ludi" a far assumere una svolta inattesa a tutta la vicenda; a creare un cortocircuito fra la storia e la Storia. Cosa succede se qualcuno fa notare a un anonimo e declinante stopper dell'Empoli che nome e cognome assegnatigli dall'anagrafe sono l'italianizzazione del nome e del cognome di un personaggio attorno al quale è stata costruita una delle più affascinanti e maledette mitografie storiche di sempre? Come mettere al riparo il povero Nedo Ludi dall'idea di avere il medesimo destino di Ned Ludd, il mitico operaio distruttore di macchine tessili agli albori della Rivoluzione Industriale, e delle bande luddite che fra il 1811 e il 1817 operavano incursioni notturne presso gli opifici a devastare tutto ciò che d'inanimato si sostituiva al lavoro operaio? E' dalla suggestione neo-luddita che parte la ribellione organizzata da Nedo Ludi: la zona come macchinizzazione e de-umanizzazione del calcio, e il sabotaggio della macchina come unica possibilità di sopravvivenza per quanti siano stati selezionati negativamente, ma anche per la salvaguardia di un'idea più umana del gioco. Nasce così il piano di una congiura degli stopper. Animata non soltanto da quei giocatori di difesa - come Nedo - deputati al marcamento del centravanti avversario (gli stopper propriamente intesi), ma anche da tutti quei calciatori che per ruolo o caratteristiche non si adeguano alla zona e all'integralismo dei suoi primi predicatori italiani. Quelli di cui, fra la fine degli anni Ottanta e i Novanta, è stato fatto uno sterminio darwiniano soprattutto a partire dai campi di serie C. La congiura degli stopper è soltanto uno dei punti in cui la storia interseca la Storia. Lo fa mettendo in scena i tentativi di sopravvivenza esperiti da un gruppo di perdenti della Storia. Quelli che il progresso ha già eliminato prima ancora che essi se ne facciano una ragione. E, purtroppo, buono o cattivo che sia il progresso non lo fermi sabotandolo.
Ma c'è anche un'altra Storia a fare da sfondo alla storia di Nedo, dei suoi colleghi stopper, del calcio italiano a cavallo fra gli Ottanta e i Novanta, e del conflitto uomo-zona. E' la storia di un paese che sta vivendo un delirio d'onnipotenza; che ingrassa nella stagione del suo massimo rampantismo; che mostra i muscoli al mondo nella sua fresca condizione di potenza economica internazionale, pronta a contendere accanitamente alla Gran Bretagna la quarta piazza nella classifica dei sette paesi più industrializzati al mondo. Quel paese, nei giorni in cui si sviluppa la storia di Nedo Ludi e della sua congiura degli stopper, s'avvia a vivere il suo particolare appuntamento con la Storia, mettendo in scena la manifestazione che avrebbe dovuto essere l'Expo dell'Italia come potenza planetaria: i mondiali di calcio di "Italia 90". Avrebbe dovuto essere il trionfo dell'Italia e dell'italianità, coronato con la vittoria della nazionale azzurra nel mondiale casalingo. E invece, a partire dall'insuccesso sportivo, da lì s'avvia il declino di questo paese. Che continua a frequentare il consesso dei paesi più industrializzati ma vi lascia traccia soltanto per la presenza di un premier guitto. Che perde pezzi d'industria e s'impoverisce a vista d'occhio. E passa da una Repubblica all'altra soltanto per convenienze di bottega. In quest'Italia che ha smarrito la dignità assieme alla memoria, la storia di Nedo Ludi e di tutti quelli come lui è un frammento di quell'autobiografia minima e diffusa di un paese che nessuno vuole andare a cercare. Un paese che ha smesso di essere una terra di stopper nel momento in cui ha cessato di cercare risposte. E di porsi domande.
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