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Storie di calcio e potere nell'URSS di Stalin
Autore Curletto M. Alessandro, prezzo €. 9,00, editore Il Nuovo Melangolo, collana Nugae

Lo Spartak Mosca era l'unica squadra di calcio sovietica a godere di un autentico seguito popolare, non limitato alla capitale ma diffuso in tutto il territorio dell'immenso paese, escluse forse l'Ucraina e le Georgia, dove il tifo per le Dinamo era anche espressione di orgoglio nazionale. Per comprendere i motivi di tale popolarità occorre risalire agli anni Venti, quando, in un rione popolare di Mosca, un gruppo di giovani appassionati di calcio creò la propria squadra. Creò nel senso più completo del termine, perché oltre a fondare la società costruì, a proprie spese, gli impianti sportivi. Il breve racconto intende seguire la formazione di questo mito dalle radici.

Quando tifava pure Stalin 
In un libro di Alessandro Curletto, la storia dello Spartak Mosca e la saga dei fratelli Starostin che fondarono la squadra più amata dagli operai russi e convinsero Stalin a organizzare una partita di calcio sulla Piazza Rossa

È stato breve il novecento dei quattro fratelli Starostin, se lo giudichiamo secondo il metro di Eric Hobsbawm; incastrato - o incastonato - dentro gli stessi confini. Idealmente iniziato con la rivoluzione d'ottobre nel 1917, il secolo di Hobsbawm, nel 1922 con la prima partita della Krasnaja Presnja, quello dei fratelli Starostin; idealmente finito con l'ascesa al potere di Boris Eltsin l'uno, di poco sopravvissutale il secondo, finito invece con la morte - nel 1996, novantaquattrenne mancato per dieci giorni - del capostipite Nikolaj, figura ormai leggendaria del calcio sovietico e di quella irrequieta e pulviscolare realtà nella quale anche il calcio sovietico (come l'URSS) è stato frantumato poi. Breve eppure lunghissimo è stato il secolo di Aleksandr, Andrej, Pëtr e Nikolaj Starostin, nati rispettivamente nel 1903, nel 1906, 1909 e nel 1902. Nella loro storia è riassunta - come nel più sta il meno, o come il privato sta al pubblico o i destini personali a quelli della Storia - la vicenda di un impero, di un'ideologia, della dissoluzione dell'uno e dell'altra. In più, la storia dei fratelli Starostin coincide con quella dello Spartak Mosca, di cui la Krasnaja Presnja era l'antenata: raccontare l'una significa raccontare l'altra, ed è quello che fa Mario Alessandro Curletto - docente di lingua e cultura russa presso l'Università di Genova - in questo libro piccolo, denso e bello appena pubblicato dal melangolo (Spartak Mosca - Storie di calcio e potere nell'URSS di Stalin, 158 pagine, 9 euro). Dunque, i fratelli Starostin sono figli di un cacciatore delle tenute imperiali e di una casalinga; abitano a Mosca, nel quartiere Presnja. D'inverno, la Moscova gelata è il teatro di risse ritualizzate fra gli abitanti della Presnja e quelli del confinante quartiere Dorogomilov: combattimenti che durano dalla mattina alla sera, contenuti dentro regole precise come prescrizioni di un codice cavalleresco. L'alternativa dei giovani moscoviti a questi combattimenti è il calcio. Il calcio è appena sbarcato in Russia, all'epoca delle risse sulla Moscova: a Pietroburgo la prima partita viene giocata nel 1898, a Mosca nel 1901. Ma la passione è come una freccia che dall'arco scocca e la passione calcistica dilaga velocemente di cortile in cortile, di spiazzo in spiazzo. E sono i fratelli Starostin a dotare la Presnja del primo vero e proprio campo da gioco, la Gorjucka. Dopo la rivoluzione d'ottobre e gli anni della guerra civile e del comunismo di guerra, la Krasnaja Presnja nasce dall'unione di tre nuclei famigliari: quello dei fratelli Starostin, dei cinque fratelli Artem'ev e dei tre fratelli Kanunninkov. Ed è subito romanzo e Vladimir Majakovskij le dedica versi futuristi: «In Russia anche a crepare squadra migliore della Krasnaja Presnja non puoi trovare».

Molto presto, la squadra diventa molto di più di una semplice squadra di quartiere: un po' perché l'interesse verso il calcio cresce in tutto il Paese, un po' perché nel calcio comincia a fare ingresso il professionismo, un po' perché sul calcio cominciano pure a pesare le pressioni, le ingerenze e le istanze politiche, totalitarie non meno che sulla vita. Ma soprattutto perché è la squadra ad avere vocazione di grandezza. Nikolaj Starostin ha allora l'idea di creare una società polisportiva che possa competere alla pari con le già grandi e potenti squadre militari, come il CDKA (emanazione dell'Armata Rossa) o la Dinamo (del commissariato degli interni); e nel 1935 nasce così lo Spartak Mosca, all'alba di una notte trascorsa dai fratelli Starostin e da pochi amici in una stanza fumosa - come in una scena di Guerra e Pace - trascorsa a pensare e a fare proposte, a bocciarle e a vederle bocciare: Audacia, Fedeltà, Assalto, Vittoria. Spartaco è il nome del capo di un'epica rivolta di schiavi e lo Spartak è l'unica squadra istituita non dall'alto ma per spontanea iniziativa di un gruppo di amici, non dipende da dicasteri ma fa capo al Komsomol, l'Unione comunista della gioventù; la classe operaia di Mosca ne è fin dall'inizio la platea di tifosi più numerosa.

Nel 1936 la Piazza Rossa viene coperta da un enorme tappeto di feltro verde, sul quale la prima e la seconda squadra dello Spartak giocano una partita dimostrativa davanti a Stalin in persona. Nemmeno la Dinamo ha mai ottenuto tanto e nessuno potrebbe immaginare l'entusiasmo di Stalin, che la partita invece suscita: lo Spartak non è più solo la squadra amata dagli operai ma è adesso anche la squadra che ha imposto il calcio all'attenzione di Stalin ed emana appeal e fascino anche verso il mondo della cultura, dell'arte e dello spettacolo, nel quale del resto i fratelli Starostin sono attori a loro completo agio.

Ma ogni storia che aspiri alla leggenda ha le sue discese all'inferno e - si sa, lo sapeva la Bocca di rosa di De Andrè - le comari di un paesino non brillano certo per iniziativa e le contromisure fino a quel punto si limitavano all'invettiva. Qui le comari sono i funzionari invidiosi ed in particolare il famigerato Lavrentij Berija, responsabile diretto delle repressioni staliniane, capo dei servizi di sicurezza dal 1938, ex calciatore, viscerale appassionato di calcio e presidente, in virtù della sua carica, della Dinamo. E Berija fa e disfa come vuole: tutti e quattro i fratelli Starostin vengono arrestati nel 1942 e vengono torturati e processati. Ma nessuno di loro cede alle torture, ciascuno di loro potrà dire «tutto è perduto fuorché l'onore»; nessuno tradisce gli altri e l'esito del processo può essere soltanto - non riuscendo gli inquirenti a provare la commissioni di reati più gravi - la pena a dieci anni di lavoro forzato nei gulag per commesso reato di propaganda di sport borghese.

I dieci anni trascorrono veloci e lentissimi come un secolo e per tutto questo tempo i quattro fratelli rimangono separati. Il più fortunato è Nikolaj, conteso fra un gulag e l'altro e sollevato dalle espiazioni più severe purché faccia l'allenatore delle Dinamo locali, a lungo corteggiato addirittura dal figlio di Stalin. Ma tutti sopravvivono e tutti vivranno la loro seconda vita. Quella di Nikolaj sarà ancora la più fortunata e gloriosa: responsabile tecnico dello Spartak fino alla morte, riferimento di generazioni di allenatori e calciatori, indiscutibile e indiscussa pubblica autorità paterna. Oggi i fratelli Starostin sono morti ma lo Spartak Mosca continua a vincere ed è anzi «un elemento unificante per le popolazioni di etnia russa al di là dei confini nazionali», come nota Curletto. Forse è proprio questo il senso di tutta questa storia, insieme allegra e triste, lunga e breve: il calcio sopravvive non solo alle persone ma anche alle ideologie e le supera e le trascende. In questo senso la storia dello Spartak Mosca è più lunga di qualunque secolo breve e non potrà essere incastrata dentro nessun confine, dentro nessun limite. di Niccolò Nisivoccia

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