«Sono il primo responsabile»
Dopo la retrocessione del Taranto in C2 parla il socio di maggioranza della società, Ermanno Pieroni.
«Per fare calcio a Taranto serve una maggiore presenza. E poi in due anni abbiamo pensato a litigare creando solo problemi. Se con Giove fosse tornato tutto normale tre mesi prima forse ci saremmo salvati. Ora chiederemo il ripescaggio: siamo i primi per diritti, faremo la C1». «Scendere di categoria sul campo mi fa provare vergogna. Chiedo scusa a chi si è sentito umiliato. Ma questa vergogna dovrebbero provarla anche altri. Riconquisterò la fiducia della gente, cambierò tutto. Cominciando a cambiare io: sarò vicino, dsarò molto più presente»
Pieroni, il Taranto è retrocesso...
«Purtroppo. Fa male, molto male. Perchè, se analizziamo il doppio confronto, abbiamo perso la C1 per un tiro da trenta metri. Il rimpianto è concentrato nella partita di andata: dovevamo fare di più allora».
Di chi sono le colpe?
«Non è mia abitudine scaricarle su altri. Ci sono, in questa retrocessione, responsabilità che cadono su altri, ma è innegabile che il primo responsabile sia io. Perchè già lo scorso anno abbiamo compiuto il miracolo, cambiando la stagione in corsa e questa volta abbiamo sottovalutato i rischi, anche cedendo ai desideri della piazza, per alcune scelte».
Ci dica la sua responsabilità maggiore...
«Per fare calcio a Taranto serve una maggiore presenza, bisogna stare più vicini, verificare di persona i problemi, smussare giornalmente i tentativi di destabilizzazione. Che c'erano anche quando vincevamo, ma allora eravamo bravi a neutralizzarli. Ora non siamo diventati asini, però è una responsabilità che dobbiamo
prenderci».
Quasi due anni di liti societarie, una crisi lunghissima. Poi la pace: si è perso del tempo?
«Sì: l'ho detto anche a Massimo Giove. L'ho chiamato dopo la partita e anche stamattina (ieri mattina, ndc). Gli ho manifestato soprattutto la mia solidarietà per quello che hanno fatto alla sua abitazione
(ignoti hanno distrutto i vetri e fatto altri danni, ndc). Quando l'ho saputo e l'ho chiamato era scosso. Ma ora gli è già tornata la voglia di lottare».
Dicevamo: due anni di liti...
«Di questo dobbiamo assumerci le responsabilità: quello che è successo non doveva accadere. A Giove l'ho ripetuto più volte in questo periodo: fosse arrivato tre mesi prima avremmo evitato questa umiliazione ai nostri tifosi, che anche domenica hanno dimostrato di cosa sono capaci pur di difendere la loro squadra».
L'umiliazione della retrocessione, però, è arrivata. E abbiamo anche trovato la causa principale. Quanto ha inciso una società così?
«L'assenza della società forte è stato il primo grande problema. Ma ricordo anche che, con grandi sacrifici personali ho garantito, l'esistenza del Taranto, non ho fatto correre rischi economici alla società, mettendoci milioni di euro».
Per retrocedere, però, sembrano un investimento sbagliato. O no?
«Non presenziando sono stato vittima dei mercenari di turno che in questi anni hanno fatto razzia a Taranto. Ora mi devo prendere la responsabilità di tutto questo e riconoscere le proprie colpe credo sia onesto, ma va detto che il Taranto - mai come quest'anno - è stato in balìa di gente della più svariata specie. Sono successe troppe cose strane, troppi personaggi - alcuni, purtroppo, tarantini - hanno scavato la fossa. Mi servirà di lezione».
La squadra ha lottato, ma non è servito...
«Per evitare questa vergogna dovevamo prenderla prima. Sono dispiaciuto. Domenica, con Giove, abbiamo cercato di dare ai giocatori quanti più incentivi possibili e come riscontro abbiamo visto una squadra giocare con l'anima. Però un grande tifoso del Taranto, dopo la partita, mi ha chiamato dicendomi: “Hanno lottato, hanno giocato con il cuore. Lo avessero fatto sempre quest'anno...”. Questo mi chiedo: perchè non lo hanno fatto sempre?».
Si è dato una risposta?
«Dico solo che anche in questa settimana ci sono stati giocatori che hanno pensato più ai soldi che al fatto che si avvicinava la partita della vita. Persino Giove, negli ultimi giorni, ha dovuto dare garanzie che già c'erano. E ha dovuto farlo, soprattutto, per quelli che pure avevano garanzie maggiori. Non voglio andare oltre, ma proprio da queste persone, al contrario, mi sarei aspettato di più. Puntavo su loro, per la salvezza».
La squadra ha mostrato limiti tecnici e, a quanto dice, mentali.
«E' una squadra costruita male. E peggiorata perchè un grande errore è stato lasciar partire Banchelli: dicevano che voleva a tutti i costi andare via, ma sarebbe bastato costringerlo a rimanere. Dopo il mercato gli sarebbe passato tutto e noi, con i suoi gol, ci saremmo salvati».
Di Bianchetti che dice?
«Che ci ha messo tanto impegno, che ha cercato di mettere insieme uno spogliatoio lacerato. Avrà fatto degli errori, ma chi non li fa? Va comunque apprezzato».
Tutti questi cambi di panchina non hanno evitato la retrocessione. Anzi, forse l'hanno agevolata...
«Ma salvandosi il Taranto non avrebbe risolto i suoi problemi. Il gol più grosso e più importante lo faremo con la ricapitalizzazione».
La farete?
«Io e Giove abbiamo preso l'impegno e lo manterremo. Iscriveremo il Taranto e chiederemo la C1».
Convinto del ripescaggio?
«Con la ricapitalizzazione il Taranto ha tutti i diritti per fare il prossimo campionato di C1. E per questo l'impegno è maggiore. Da soli o con altri, meglio se con altri, visto che ci sono dei contatti».
Contatti, ha detto?
«Sì, le alternative sono diverse e io sono a disposizione per qualsiasi soluzione che aiuti a avviare un nuovo ciclo. Garantiscono la ricapitalizzazione a titolo personale e garantisco che, restando io, cambierò tutto. E cambierò me stesso soprattutto».
Ci spieghi...
«Cambierò il modo di fare calcio a Taranto. Mi impegno a presenziare, a tenere il confronto con la città, con i tifosi, a essere sul posto per prendermi le mie rivincite. Molta gente, in questo momento, ha ragione ad essere delusa di me. Comunque ho evitato il fallimento della società, comunque cambierò: troppi impegni mi hanno tenuto lontano, troppe volte mi sono affidato al collaboratore di turno. Non basta il blitz: prima della partita di domenica abbiamo messo un grosso premio per la salvezza, abbiamo dato garanzie. Prima Giove aveva fatto altro a titolo personale. Ma per fare calcio bisogna essere presenti».
Un pentimento dopo due anni?
«Invece di litigare io e Giove dovevamo pensare di più al Taranto. Ora mi state sentendo sereno, perchè sono sicuro di quello che stiamo facendo. Scrivetelo pure: il Taranto giocherà in C1 il prossimo campionato e sono pronto a garantirlo sin d'ora. Chiedo scusa, però, a chi da questa retrocessione, si è sentito umiliato: farò di tutto per riconquistare la gente, per convincere chi adesso contesta. E' un messaggio che voglio lanciare anche al sindaco: garantisco che farò l'impossibile per costruire una grande società. C'è un futuro per il Taranto».
Qual è questo futuro?
«Lo dico senza voler prendere in giro nè illudere nessuno: rispetterò i miei impegni perchè, nonostante il bagno di sangue fatto a livello economico, mi sento in grande debito nei confronti dei tifosi. Risistemeremo la società e cominceremo la battaglia per il ripescaggio: il Foggia è fallito e non può fare la C1. E la prima società, per titoli, è il Taranto, se sarà in regola con i bilanci. Immaginate, quindi, con quanto ardore difenderò il Taranto: chiunque vorrà farci un torto dovrà fare i conti con me. Saremo in C1. E cambieremo anche i pali delle porte».
Tutto da rifare?
«Quest'anno abbiamo sbagliato tutti: si è approfittato della mancanza della società, che - ripeto - per questo è la prima responsabile. Tutti devono, però, prendersi le loro colpe. Anche i calciatori, che spesso non hanno fatto i calciatori. Ad esempio: perchè per mesi in tanti mi hanno chiesto di cacciare determinati giocatori? Lo scorso anno, quando ribaltammo un campionato pericoloso, forse avevamo altri uomini dentro».
Nessun passo indietro da parte vostra?
«Io, per risistemare i conti del Taranto, ho rinunciato a molti miliardi di lire. Manca un ulteriore sforzo e non mi tirerò indietro. Poi sarebbe anche meglio vedere nuove facce. Intanto, però, voglio ringraziare Massimo Giove che ha rimesso la sua faccia e i suoi soldi per il Taranto e che, insieme a Gino Montella, sta dando il massimo apporto fisico e morale. E pensate che il loro impegno ha addirittura provocato gelosie all'interno della società: questo è inaudito. Ecco: ho detto che garantisco il ripescaggio, ma al pensiero che il Taranto è retrocesso in C2 sul campo provo vergogna. Vorrei che questa vergogna la provassero tutti. Il parafulmine Pieroni è servito a tutti, finora».
Adesso che succede?
«L'unico modo per farsi perdonare dopo questa retrocessione è portare il Taranto ai livelli di due anni fa. Quando Pieroni era presente, quando era rispettato. Bisogna essere bravi a correggere gli errori. State tranquilli: sono troppo ferito dentro per non reagire. Non voglio passare alla storia come quello che ha lasciato il Taranto in C2. Faremo la C1 e lo porteremo in alto. Il nostro programma è chiaro: ricapitalizzazione, ripescaggio e poi una grande squadra. Per spiegarvi: due settimane fa, circa, ho allertato, tramite Sossio Perfetto, Gianni Simonelli. Voglio ricominciare da lui, l'idea mi stimola e credo che abbiamo anche lui la voglia giusta».
Simonelli, Giove, Montella: si torna indietro?
«Il Taranto risorgerà, anche così. Tornerò a fare calcio da presente: so che ora saranno più i fischi degli applausi, ma non dimenticate che ho fatto l'arbitro, che quindi sono abituato agli insulti anche immeritati. Questa volta me li sono meritati, ma saprò rifarmi».
Un'autocritica così non l'aveva mai fatta...
«Ma mi auguro che la facciano tutti. Anche Taranto: se quei dodicimila tifosi che c'erano contro la Fermana ci fossero stati anche in altre occasioni siamo sicuri che saremmo retrocessi. Il dispetto, più che a me o ai giocatori, la gente ha finito per farla a se stessa. Tutti devono fare autocritica: anche chi ha continuamente sparato sulla Croce Rossa. Ora, immagino, ognuno vorrà dire la sua dopo la disfatta. E noi li smentiremo ancora una volta. Torneremo vincitori».
Riprendiamo un punto precedente: ha aperto anche ad altri investitori.
«Certo: chi vuol farsi avanti lo faccia in maniera seria. Senza speculazioni. Chi ha voglia di fare bene trova da noi porte spalancate. Basta farsi sentire: questa volta senza intermediari. Potrei dire altro, a proposito di speculazioni, ma non voglio incattivirmi e voglio evitare argomenti del genere in campagna elettorale. Hanno cercato di affossarci in ogni modo, hanno mancato l'obiettivo. Il Taranto non fallirà mai. Almeno finchè ci siamo noi».
Lanci l'ultimo messaggio.
«Mi rivolgo a chi ha a cuore il nostro calcio e in particolare a chi amministra la città. Serve un confronto, tra tutti, mettendo da parte le ruggini. Ad esempio, senza voler entrare in polemica: perchè quest'anno il Taranto non ha ricevuto il contributo comunale che riceve ogni anno? Mi rendo conto che è difficile stanziarlo con tutti questi veleni, ma di fronte ad una situazione di difficoltà vedete cosa sta facendo Veltroni per le romane e la Iervolino per il Napoli. Ad un certo punto il calcio non è più solo un argomento sportivo. E' un fenomeno sociale: alla Di Bello, che so è tornata allo stadio, dico che sono al servizio del Taranto. Lo iscriverò alla C1 e poi conterò anche sulla sua grande passione. Di fronte ad un progetto serio le tornerà l'entusiasmo. Ricostruiamo dalle ceneri, rimbocchiamoci le maniche. Facciamolo tutti: è il momento».
di Fulvio Paglialunga
Ore 18.22: è finita
Al "Recchioni" di Fermo il pareggio a reti bianche condanna i rossoblu alla retrocessione in serie C2. Alla compagine di Bianchetti non è bastata una prova d'orgoglio e buona volontà per salvarsi dalla discesa in quarta serie. I giocatori ionici hanno cercato con ardore l'impresa, ma non sono riusciti a violare la porta difesa dall'estremo difensore avversario
Chiodini
Quando il dramma si materializza sono le 18.22: è il momento in cui si chiude una stagione sbagliata, in cui viene presentato il conto degli errori. Il Taranto retrocede, amaramente: il campo dice che il destino è la C2, senza appelli, senza possibilità di replica. I playout, sfide selvagge e brutali, sono questi: a Fermo finisce pari, a Taranto era finita alla stessa maniera. Decide la classifica ed è un segnale: ha deciso, quindi, la gestione balorda di una stagione, sono state pagate tutte le magagne, in un'unica soluzione. Cioè: tutti i guasti di una squadra allestita male, smontata senza essere risistemata, troppo spesso abbandonata al proprio destino. E tutte le conseguenze di una serie di cambi di panchina (Brini, Barone, Dellisanti, Barone, Brini, Bianchetti) che hanno disorientato, fotografando esattamente i guai di un campionato intero. E ovviamente i malumori generati da una società trascinatasi troppo a lungo nei suoi problemi per pensare di non pesare sulle questioni del campo. Quando le premesse sono queste nessun discorso ragionevole sostiene la logicità di una salvezza: serviva qualcosa di illogico, non è arrivata. Nell'ultima partita c'è stato l'ardore, la tenacia, la voglia di arrivare, di lottare: non è bastato, perchè ogni tentativo si è infranto rumorosamente sui limiti strutturali dell'organico. Rimandando a monte le responsabilità.
Non si retrocede mai per caso: il Taranto è caduto perchè, in una stagione intera, si è costruito la condanna. Perchè, nelle due partite che potevano cambiare il corso di tutto, è mancato il guizzo, non c'è stato l'episodio. Finisce male: con i volti delusi, alcuni rigati dalle lacrime, tutti segnati dalla sofferenza. Con le speranze postume (il Taranto chiederà il ripescaggio) che non attenuano il dolore, con l'amaro rewind delle tante occasioni sciupate, dei programmi estivi compilati sul momento, dei soldi che non arrivavano, degli scioperi, degli errori sulla panchina, dietro la scrivania, in campo. Il calcio non si inventa: la retrocessione è l'umiliante pegno da pagare quando il tentativo è questo. Restano macerie: di un blasone macchiato da un cosa mai vista (nella storia è la prima volta che il Taranto scivola dalla C1 alla C2), della passione della gente che tifa, ancora una volta armatasi e partita e, suo malgrado, mortificata. Restano fitte in fondo al cuore: per un progetto sgangherato al quale si è cercato di rimediare troppo tardi, per una catena di scelte sbagliate, per un'ottusa voglia di trovare alibi quando il Taranto perdeva in serie e metteva insieme due punti in otto partite. Dentro quel periodo c'era il tempo per risollevare la stagione, andando oltre si era già fatto tardi. Fatti i calcoli: è C2. E se il conto non sembra giusto, i playout hanno deciso lo stesso. Si salva la Fermana, con due pareggi. Retrocede il Taranto, che non ha saputo vincere. Il resto è nulla, o poco più. Chiacchiere che non trovano sponde: i segnali di un tracollo sono stati ignorati, ma non si potevano cancellare.
Eppure si sperava in una salvezza. Per dimenticare tutto, per far finta che nulla fosse accaduto. Per iniziare un diverso processo di ricostruzione. Adesso tocca muoversi tra i detriti. Perchè nulla ha soccorso il Taranto: nemmeno una partita giocata con il cuore, vissuta di corsa, gestita sui nervi, affrontata con tenacia. La banda di Bianchetti ha fatto quello che doveva fare: lottando aspramente e cercando l'impresa fino in fondo. Così ha spiazzato la tesi dell'impegno superficiale, spostando le cause: il Taranto è questo, non poteva diventare altro. E non ha cambiato la sensazione che ha accompagnato la stagione: quella che niente potesse tornare utile in un contesto rabbberciato. Nemmeno un assetto innovativo, votato all'offesa: la scelta di Bianchetti (3-4-1-2 con Croce tra le linee) sembrava giusta perchè l'atteggiamento ha premiato comunque: il Taranto ha spinto, quasi schiacciando la Fermana (4-5-1), comunque inibendola. Costringendo, ad esempio, Bruniera a mettere Micallo quasi a uomo su Triuzzi. Il sistema di centrocampo era quello studiato: Cozzi pronto a rientrare sulla linea della difesa con il pallone tra i piedi degli altri e De Liguori quarto uomo davanti quando il momento era d'offesa. Finisce senza reti perchè il Taranto si incarta in una serie di tiri senza esito con Bettoni (4'), Triuzzi (10'), Croce (17'), mettendo la difesa fermana in difficoltà evidenti soprattutto cominciando molto in anticipo la pressione sul portatore e lasciando che l'iniziativa avversaria diventasse unicamente le ripartenze sugli esterni (Onesti e Luciani). Tutto senza gol. Il Taranto ci ha provato, in fondo. Ma ci è andato particolarmente vicino una volta sola. Nell'istante in cui un'altra parte degli errori commessi si è materializzata: quando, cioè, Triuzzi ha superato Micallo con un numero, ha servito centralmente Vidallè. Se l'argentino non fosse stato un abbaglio di un mercato suicida, il Taranto avrebbe aperto un'altra partita in quel momento: invece ha perso il tempo della battuta, ha sciupato tutto. Come un attaccante non deve.
Non è servito niente nemmeno nella ripresa. L'inserimento di Panarelli per Di Meo (con il tarantino a centrocampo e Cozzi in difesa), il passaggio al 4-3-3, la continua attesa di un momento che non si è presentato mai, il possesso costante del pallone. C'è stato un tiro di Croce (13') che Mengoni ha respinto (dal campo dicono: con la mano), ma anche alcuni rischi (Esposito ha salvato su Luciani al 21'), sventati. Pure un tentativo di 4-2-4 (Abate per Del Signore, poi Mignogna per Vidallè) è stato inutile. Perchè la festa è stata della Fermana, comunque. Al Taranto tocca ripartire. Sperando in un ripescaggio, forse. Ma anche ricostruendo tutto. Da zero. Perchè il campo, adesso, dice che il Taranto è stato da C2. Amen.
di Fulvio Paglialunga
«Vogliamo il ripescaggio»
Ermanno Pieroni non si arrende. La richiesta potrebbe partire in giornata. Il massimo azionista del club rossoblu garantisce:
«Risaneremo la società. Abbiamo ottime possibilità di restare in C1: siamo primi nella speciale graduatoria». Massimo Giove: «La delusione è troppo forte» Stanzione e il dg Telegrafo amari
La retrocessione è la somma di tutti gli errori commessi. Brucia, squarcia l'animo, annienta i pensieri. E' un punto di non ritorno, il fondo toccato dopo due anni di rincorsa folle, al contrario. Il Taranto è in C2, il campo ha detto così. Non è bastato niente: non è bastato l'ultimo scatto di orgoglio della squadra, non è bastato lo sforzo quasi inumano dei giocatori nell'ultimo respiro della stagione. Gli errori erano stati fatti prima. E ora la condanna è definitiva. Oppure no: perchè dentro la delusione cocente, dentro le colpe di tutti, la società studia il modo per rimediare alle proprie (gravi) responsabilità. Non c'è un attimo in cui fermarsi: il Taranto piange, ma già prova ad asciugarsi le lacrime. Era stato annunciato, del resto. Sarà fatta domanda di ripescaggio. Ermanno Pieroni lo conferma via cavo, mentre la strada del ritorno si snocciola chilometro dopo chilometro. Con un filo di voce, con la tristezza che una retrocessione può dare:
«Fatemi vedere la partita, poi vi dirò. Intanto vi dico che faremo già da domani (oggi, infatti, la società potrebbe esprimere la sua posizione in un comunicato, ndc)
i nostri passi. Garantiremo quello che abbiamo previsto, cioè il risanamento della società. E poi faremo la domanda di ripescaggio: siamo i primi in graduatoria, perchè il Paternò è già stato ripescato l'anno scorso. E c'è già un posto libero: il Foggia deve fare la
C2».
Si profila, quindi, un'estate ad inseguire la C1. Che, intanto, si è persa sul campo. Con dolore, con tante colpe da distribuire. Rimediare è il minimo, quando il guaio è fatto. Pieroni ha lasciato il suo messaggio, presto ci tornerà. Ieri mattina il patron aveva fatto visita alla squadra, nel ritiro di Porto San Giorgio: un discorso accorato, riferiscono, la promessa di un cospicuo premio in caso di salvezza (pare intorno ai duecentomila euro) e titoli a garanzia del pagamento di una mensilità. Non è bastato, gli errori risalgono a prima. Massimo Giove preferisce non spendere troppe parole. Anche lui, al telefono, lascia un messaggio simile a quello di Pieroni:
«La delusione in questo momento è troppo forte. Mi sarebbe piaciuto salvarmi sul campo. Ma non dispero: abbiamo ottime possibilità di conquistare il ripescaggio. Non è questo però il momento adatto per parlarne, il rammarico è ancora troppo forte».
Chi, invece, nel triste dopo-partita dice qualche parola in più è Franco Telegrafo, direttore generale assai mortificato:
«C'è una grande amarezza in questo momento. E' una retrocessione che abbiamo cercato in tutti i modi di evitare, ma che abbiamo subito per via del risultato dell'andata. La squadra è stata vogliosa, determinata fino all'ultimo momento, ma non è riuscita ad essere
concreta». Non si retrocede per caso: «E' l'epilogo, infatti, di una stagione iniziata male e proseguita peggio. Fino a questa fine, a quella che vediamo. Non ci sono colpe specifiche: le colpe sono di tutti e ognuno deve sapersi prendere le sue. Gli unici che pagano, però, sono i tifosi, è la città. E la gente che ancora una volta ci è stata vicina, in massa. Pensiamo al futuro, da subito: in questo momento, con la delusione cocente, si vede tutto nero. Ma passato il dolore sono convinto che cercheremo di riprenderci quello che ci hanno tolto sul campo. Parlo di ripescaggio, ovviamente».
Il presidente Enzo Stanzione è indaffarato. Parla con le forze dell'ordine, che gli chiedono lumi sul viaggio di ritorno. Lascia qualche battuta, al volo:
«Siamo delusi, siamo tutti delusi. Perchè potevamo ancora raddrizzare la stagione, ma ci è mancato il gol. Nonostante una partita giocata con tutte le forze rimaste, nonostante una prova da apprezzare. Volevamo salvarci sul campo, adesso proveremo in altri modi». Il futuro è un punto di domanda:
«Sono domande che non possono avere risposte da me. Saranno i proprietari a decidere e comunicare: io, lo sapete, sono un traghettatore. E mi resta il rammarico di questa retrocessione». Ora si aspetta. Non si può fare altro: il guaio è fatto.
di Fulvio Paglialunga
Bianchetti: «E' mancato il gol»
Il tecnico nel dopo-gara ha elogiato la prestazione e l'impegno della squadra. L'alenatore siciliano non disdegnerebbe l'ipotesi di una conferma alla guida dei rossoblu:
«Vorrei prendermi una rivincita dopo questa annata nera». Ma auspica anche una chiara presa di posizione della società
Salvo Bianchetti non era mai retrocesso. Eppure si è dovuto inchinare, ha dovuto conoscere la delusione da vicino. Salire sul treno in corsa non è servito: alla fine i playout hanno sancito il verdetto inedito, hanno colpito dritto al cuore e al curriculum. Non ce l'ha fatta, ci ha provato. Commettendo i suoi errori, prendendosi le sue colpe. Però ha cercato di trovare una via, alternando scelte felici a azzardi pagati caro. Gli spareggi si sono rivoltati contro e lo hanno stordito. In sala stampa fatica a farsi sentire e pure a ordinare le idee. Parla perchè non può farne a meno, per un impegno non scritto. Ma si capisce che il silenzio sarebbe la sua scelta, altrimenti.
Bianchetti, cosa è mancato al Taranto?
«Il gol, senza dubbio. Perchè non credo possa esserci niente da dire sulla prestazione e sull'impegno dei ragazzi».
La retrocessione è figlia solo del gol mancato?
«No, perchè se con due pareggi siamo retrocessi è per via della posizione in classifica. Questo vuol dire che la retrocessione è figlia dei tanti problemi della stagione, come ad esempio le prime dieci gare di ritorno, in cui si è raccolto quasi niente e ci si è condannati ai playout. Perchè nella doppia partita meritavamo forse più noi. Ci condanna il regolamento».
Ma il regolamento ha anche allungato la speranza. Senza playout il Taranto sarebbe retrocesso prima.
«Anche questo è vero: una squadra che fa due punti in nove partite all'inizio del girone di ritorno retrocede. Ma visto che c'erano i playout, potevamo salvarci così. Non ci siamo riusciti, ma non lo meritvamo».
Perchè?
«Per gli episodi: a Taranto avremmo dovuto segnare il 2-0, ad esempio. Però non abbiamo sfruttato la superiorità. Oppure in questa partita, per me, c'erano due rigori. Fateci caso: con quest'arbitro solo cinque volte la squadra di casa ha perso. Oppure rivedete il curriculum di quello dell'andata: con lui, invece, solo il trenta per cento delle volte la squadra di casa ha vinto. Non voglio gettare ombre: sono statistiche, queste».
Diceva di due rigori...
«Un arbitro più attento, ad esempio, avrebbe assegnato il penalty quando Bettoni è stato spinto nell'attimo prima di tirare dopo pochi minuti di partita (in realtà si trattava di Croce, ndc),
oppure per il fallo di mani su tiro di Croce nella ripresa. Non so: alla Fiorentina forse li avrebbero dati».
Oltre gli episodi che c'è?
«C'è una squadra che non poteva dare più di quanto ha dato in questa partita. Dal punto di vista dell'impegno non si può eccepire nulla, dal punto di vista tattico l'avevamo inquadrata bene. Non siamo riusciti a segnare, mi ripeto: nel primo tempo avremmo dovuto chiudere almeno qualche occasione, ma la Fermana ha respinto in tutti i modi. E' un peccato: in questa retrocessione le colpe sono di tutti. Anche le mie».
Quali sono le sue colpe?
«Non aver vinto questa partita».
Prima retrocessione in carriera. Fa male?
«Certo, perchè poi è capitata a Taranto, dove non pensi di dover retrocedere. Dal punto di vista professionale il discorso può essere diverso, perchè ho ereditato una situazione che non era la mai. Ma resta il dolore, il dispiacere per i tifosi, per la città, per la società. E per i giocatori, che sono molto giù».
Novanta minuti di corsa non sono bastati...
«Questo ha dimostrato che domenica sono crollati i nervi, non le gambe. Avessimo avuto questa determinazione in casa, avremmo chiuso 2-0 quella partita e adesso racconteremmo altro. Il discorso torna lì, purtroppo: se non segni non vinci. I giocatori hanno fatto l'impossibile, ma le tante tensioni create certo non li hanno aiutati. Sono convinto che questo gruppo, con una maggiore tranquillità, meriterebbe la salvezza ad occhi chiusi e, se trovasse la via del gol, potrebbe aspirare anche a molto di più».
Dopo le delusione c'è il futuro: Bianchetti rimarrà a Taranto?
«Non lo so: è difficile parlarne adesso. Certo, se uno si salva è più facile restare. Altrimenti serve una presa di posizione forte della società, che dovrebbe dire chiaramente di essere soddisfatta del lavoro nonostante la retrocessione».
Dipendesse da lei?
«Io una rivincita voglio prendermela». di Fulvio Paglialunga
Una bandiera da raccogliere
L'emozione, l'attesa e la delusione del popolo rossoblu in un giorno triste
Lo stadio si è svuotato. Planano le tenebre di un giorno che, comunque, disegna una pagina della storia del Taranto. Sale l'ultimo dei rossoblu sul pullman, arrivato in ritardo per motivi precauzionali. I tifosi hanno già preso la via del triste ritorno. Rimane una cittadina marchigiana che festeggia nella sua tranquilla sobrietà e rimane a giacere una bandiera rossoblu, testamento di una retrocessione, tanto temuta e giunta con implacabile puntualità. E' il segno della resa: la bandiera non è conficcata a mo' di conquista; è lì esanime, dopo aver svolazzato invano per un pomeriggio. Ma i campionati non si improvvisano, come le salvezza d'altronde.
Non è bastato rinverdire antiche passioni coloniali; quegli esodi massicci e culminati sempre con il sapore della vittoria. Napoli-Ascoli è un segmento che Fermo spezza. Non è bastato pitturare di rossoblu un migliaio di posti, l'invadente tifo preventivo, quel training autogeno rivolto solerte e minaccioso. nei minuti di riscaldamento. Incitamenti con un unico fondamento, un invito, magari per i puristi dell'eloquio, poco elegante ad uscire quello che si ha in corpo. Triuzzi si avvicina a loro; confabulano e probabilmente scatta la trattativa. "Date tutto" avranno tuonato i supporters. "Lo faremo" avrà risposto il "genietto" che forse se non avesse fatto il calciatore lì a Fermo ci sarebbe andato anche lui in curva. Si urla la propria presenza, dopo mesi di mutismo e di scoramento. Mille persone i cui 500 chilometri hanno una motivazione recata su uno striscione che campeggia all'improvviso. “Solo chi ama può capire perchè siamo ancora qua”. Il tifo è così,irrazionale. La fede è un qualcosa di intimo. Credere fortemente in un obiettivo che non è sminuente. Playoff o playout, non esiste differenza. Si crede e basta e quei mille stanno lì a testimoniarlo. Inizia la partita e il 6 giugno sembra uno scherzo del calendario: vento freddo, i meno provvisti si aggomitolano per difesa. "Solo per la maglia" gridano perpetuamente i tifosi. E i giocatori del Taranto provvedono ad ubbidire, spingono decisi, sospinti da una mareggiata vocale. Il frastuono sommerge anche la sponda del tifo altrui. Si infiammano i "mille" quando una mischia mette in subbuglio l'area gialloblu che tiene con determinazione. Prende corpo una missione incominciata per dovere ed ora che può contare sulle risultanze del campo. A volte basta il solito spasmodico impegno per sollecitare le ugole,per univocare le speranze. Arriva il fischio del primo tempo; non è stato sufficiente attaccare sospinti dal tifo alle spalle. Magari sarebbe bello segnare sotto la curva rossoblu, pensa qualcuno. I minuti passano e quel gol non si concretizza. Gli undici leoni tanto richiesti hanno sempre fame, ma la preda non è così facile da afferrare. Un cross troppo sul portiere, un'indecisione al tiro, un passaggio sbagliato tolgono ossigeno e fanno aprire gli occhi. Dal calderone delle contendenti esce il numero fermano e lo sentenzia l'arbitro Brunialti con l'inesorabile triplice fischio. La delusione è forte, non si ha nemmeno voglia di comunicarlo a parole. "E ora... andate via", un breve epitaffio, forse preparato anche anticipatamente. La delusione si materializza e rende impietriti. Lo sport è di una stordente bellezza: perchè nel breve volgere di uno sguardo si riflettono beffardamente le emozioni più contrastanti. Ma c'è tempo anche per la comprensione: alcuni tifosi fermani, scesi in campo, per abbracciare i propri beniamini, corrono lungo il prato del "Recchioni" per confortare i loro avversari di un giorno, di una contesa. "Non preoccupatevi, potete essere ripescati". Loro se ne intendono, in C1 di questi tempi abdicarono così come ha fatto ieri il Taranto. Lo confessiamo: ci eravamo attaccati a tutto. Anche ad un gioco numerico; che quel 9 giugno 2002 così ancora presente nella memoria, potesse essere rovesciato dagli eventi del 6 giugno. Ma la realtà e gli errori non guardano in faccia la cabala. Solo l'imponderabilità delle questioni calcistiche estive, può innervare l'ottimismo.Il classico: siamo retrocessi ma... ha assunto rilevanza nel brillante frasario di calcio parlato che, da ieri sera, ha aperto la personale stagione. Aspettiamo fiduciosi, anche perchè non possiamo fare altro. Intanto quella bandiera giace, riversa sulla sua malinconia. Qualcuno la vada subito a raccogliere...
di Luigi Carrieri
Triuzzi: «La mia più grande delusione»
Il "genietto" rossoblu non riesce a digerire la retrocessione:
«Andare in C2 per due pareggi è davvero dura». Cozzi riflette:
«Scontiamo un'annata balorda, purtroppo è un fallimento». Vidallè commente le occasioni mancate:
«Non sono stato fortunato»
A volte le parole, per quanto efficaci, non possono esprimere la mestizia e la desolazione che regnava nello spogliatoio rossoblu ieri pomeriggio. Occhi bassi, sorrisi di circostanza per sgranchire musi inevitabilmente lunghi. Una retrocessione che brucia, sofferta senza avere mai perso sul campo. La truppa rossoblu depone le armi, ma lo fa con spirito da rispettare. Non ci sono lacrime, non c'è disperazione; c'è solo l'amaro destino dello sport che a un vincitore deve sempre opporre uno sconfitto. E questa volta l'amaro compito di uscire sconfitti da uno spareggio salvezza spetta alla compagine ionica. Gianluca Triuzzi di questo gruppo ne è il capitano. Lui, nonostante il morale comprensibilmente a sud, non si esime dal mettere la propria bocca sotto il microfono. Il tono è basso, le parole flebili escono in maniera sincopata.
«E' una delusione enorme. Retrocedere con due pareggi è dura da mandare giù. Siamo stati puniti da un mezzo tiro in porta. L'amara riflessione è questa». Un'amarezza doppia, perdere con i colori della propria città.
«Mi fa male anche per questo, speriamo di dimenticare in fretta questa giorno che rimane il più difficile, sportivamente della mia carriera». La lingua si scioglie con il passare dei secondi.
«Credo - continua Triuzzi - che sia lo specchio fedele di anno. Oggi
(ieri, ndc) abbiamo dato quello che avevamo in corpo. I tifosi? Mi immedesimo in loro e li capisco. Per loro non sarà facile. Qui a Fermo sono stati davvero encomiabili». L'inevitabile riferimento all'auspicabile ripescaggio si fa strada.
«Speriamo,anche se in questo momento non mi va di pensare ad altro».
C'è chi garbatamente glissa le dichiarazioni di rito. Esposito che, ad esempio, rifiuta ogni commento.
«Ho finito con i crampi, esausto, Mi dispiace non me la sento di parlare». Anche un giocatore esperto come Di Bitonto lascia l'ardito compito di commentare ad altri.
«Comprendetemi» è l'educato disimpegno del portiere ionico. De Liguori ha gli occhi gonfi di rabbia; Bettoni scambia le ultime opinioni con Bianchetti. Per entrambi è la prima retrocessione. Cozzi, invece, mostra più disponibilità. Ha anche da chiarire alcune voci uscite alla vigilia di un suo presunto litigio con il compagno di squadra Panarelli.
«Tengo a smentire categoricamente quanto riportato da un giornale. Non si tratta di sminuire un episodio, ma di respingere quella che è una bugia colossale. Io e Gigi siamo grandi amici e una notizia del genere ci ha davvero sorpreso negativamente». Poi si ritorna sulla partita.
«Purtroppo scontiamo un'annata balorda. Tanti problemi alla fine si sono fatti sentire e abbiamo pagato il conto alla fine. Una retrocessione non ha solo un valore sportivo, ma si tratta di un fallimento sul quale occorre riflettere. In ritiro, la scorsa estate, siamo partiti in quattordici; dopo la squadra è stata rinforzata e poi smantellata daccapo. Tutti questi eventi non possono non influire in un'annata calcistica». Lì accanto Filippi che fa un discorso più ficcante.
«Siamo limitati e questo è stato il risultato finale. I limiti sia tecnici che psicologici ci hanno condizionato. Ovviamente mi riferisco all'arco di una stagione. In queste due gare ci è mancato il gol. Sul piano del gioco, siamo stati superiori ma non è bastato». Si parla di gol che dovevano arrivare e hanno ciccato l'appuntamento. Vidallè, colui che era deputato principalmente a tale iniziativa, è seduto di schiena contro il muro e attende le classiche domande che vertono sulla sua prestazione, anche ieri tinteggiata da volontà, ma poca precisione sotto porta. «Inutile stare a cercare alibi. Abbiamo perso e questa la triste realtà». Due le occasioni principali sulle quali riversare un minimo di rammarico. «Sul passaggio di Triuzzi non sono stato rapido, dovevo calciare subito, ma ho perso il tempo. Sulla seconda opportunità il cross di Cozzi era perfetto, ma mi ha ingannato il difensore avversario che ha sfiorato di quel tanto la palla da mettermi fuori causa. Provo una grande tristezza, è normale. Non volevo finisse così».
Si sta attendendo il pullman che, per motivi precauzionali, è stato portato nella vicina Questura. Molti non vedono l'ora di salirci e di rimuginare sulla via del ritorno. L'ultimo a parlare è Di
Meo che ha un ritornello pronto da ripetere. «Se non si fa gol, non si va da nessuna parte. Abbiamo macinato gioco, abbiamo prodotto qualche occasione,ma in queste partire era necessario metterla dentro. Ma dispiace perchè la salvezza non ce la siamo giocati in queste due gare. Durante l'anno sono successe tante cose, abbiamo condiviso tanti problemi che potrei scrivere un libro».
di Luigi Carrieri
La Fermana spedisce il Taranto all’inferno
Gli jonici retrocessi in C2. Tifosi amareggiati alla fine di un campionato da dimenticare. La sterilità dei rossoblù decisiva anche nello scontro più importante del torneo: un assedio vano alla porta dei marchigiani. Il contratto del tecnico scadrà il 30 giugno. Il sindaco non dispera in un ripescaggio, anche se per prospettive dignitose alla squadra occorre attuare la ricapitalizzazione delle quote societarie
Naturalmente, piove. E si resta soli sotto la pioggia. Viene giù un'acqua che prima bagna e poi affligge. Perché il Taranto non si salva. Non si salva perché non vince. Non vince perché non segna. La successione degli eventi, al di là della loro tragicità, è sintomatica. Stavolta nessuno s'inginocchia a baciare l'erba. Non è come dodici anni. Non è come ad Ascoli. È diverso. Il Taranto retrocede in C2 e il declassamento, al culmine di una fatica inutile, è simile ad uno schianto. Fischia l'arbitro e scompare il Taranto, come risucchiato nel peggiore degli incubi. Sul prato resta la Fermana, che continua a correre.
L'ultima partita è di una coerenza estrema. Incolla il Taranto ai suoi limiti. Li esalta nella lotta. Li ingigantisce nella contesa. Li dilata nella battaglia. Il gol che non arriva: ecco la sintesi tecnica di una stagione sbilenca. Ecco la didascalia ideale di un campionato finito troppe volte in malora e troppe volte ripescato da un oblìo ineluttabile. Sino all'illusione finale. Ma non ci poteva essere futuro dentro un'allucinazione collettiva. Non ci poteva essere domani dentro un pretesto. Non si può cambiare il destino di una squadra angosciata. Di una brutta storia si può soltanto orientare il respiro, sperando che basti. Non è bastato.
Dopo una partita così, l'esito è tutto. E l'esito consegna all'archivio della memoria uno 0-0 che al Taranto non serve a nulla. Uno pareggio calvo che è, a ben pensarci, la somma di un'annata. L'astrazione assoluta. Il Taranto, per quanto si sforzi e si adoperi, non ce la fa. Non trova il gol. E non trovando il gol, perde tutto. Perché si può perdere anche pareggiando. Il Taranto, però, non retrocede a Fermo. Il suo viaggio a ritroso comincia prima. Fermo è solo il capolinea ideale. Il confine geografico che certifica il passaggio. Il punto di arrivo e di rottura. Il doppio confronto con la Fermana scava il solco ed emette la sentenza definitiva. Tocca al Taranto lasciare la C1.
Alla fine restano la fatica muta e il sudore acido. Cioè niente. Resta questo desiderio inesausto di sopravvivere. Resta questa determinazione feroce. Resta una partita drammaticamente incompiuta. Priva dell'istante perfetto del gol. Ci sono assalti furenti e attacchi prolungati. C'è una pressione quasi costante. Ma l'assenza di tensione realizzativa - un'assenza cronica - sterilizza ogni tentativo. Vanifica ogni progetto. Immiserisce ogni lodevole intenzione. Le giocate sporche di Vidallè, l'estro incespicante di Triuzzi, la fresca vitalità di Croce, il contributo acerbo di Abate, la velocità disperata di Mignogna: nulla torna utile all'apice della sofferenza. Tutto s'infrange sugli scogli della difesa marchigiana. Tutto s'arena dentro l'area affollata di uomini e piena di trappole.
Nell'attesa eterna del gol (di chi lo brama e di chi lo teme) si consuma una sfida d'altri tempi. Di una bellezza selvaggia. Sotto un cielo livido, nel pomeriggio freddo di una primavera che sa di autunno. E forse anche questo era un triste presagio. Non era prevista alcuna fioritura. Doveva ancora cadere l'ultima foglia. È caduta. Era il Taranto, che si prende la partita (la connota, la caratterizza, la riempie), ma si lascia sfuggire la salvezza.
Bianchetti cambia uomini (dentro Esposito e Vidallè, fuori Panarelli e Abate). E varia assetto: 3-5-2. Ma a rendere il modulo più caldo e rassicurante sono i tempi d'esecuzione e le distanze corte. Il Taranto parte frenetico e famelico. La Fermana (4-5-1) assume un atteggiamento di responsabile contenimento. Non si scopre, lascia che sia il Taranto a fare la partita. E il Taranto la fa. È un temporale d'insidie quello che sta per abbattersi sulla retroguardia marchigiana. De Liguori e Bettoni cercano senza trovare la porta aversaria (4'). Triuzzi prova il destro teso e forte (10'). Croce colpisce l'esterno della rete (17'). Triuzzi salta Micallo e dal fondo serve all'indietro per Vidallè, che esita e spreca la più pulita delle occasioni (41').
La ripresa chiama il Taranto all'assedio decisivo. Undici minuti di pressione e matura la prima sostituzione. Entra Panarelli, esce Di Meo, si accentra Cozzi. Il Taranto ora è 3-4-3, almeno quando spinge. Triuzzi si sposta a destra, da dove fa partire un cross che Vidallè di testa trasforma in un assist per l'accorrente Croce: il tiro è pronto ma il pallone sembra infrangersi sul braccio di Mengoni (13'). Ci sono le proteste. La Fermana ha paura. Ma sembra programmata per resistere. Bianchetti ricorre ad Abate (fuori Del Signore) e a Mignogna (fuori Vidallè). Il tempo che scorre implacabile è l'ultimo nemico invisibile. Divora speranze, innalza steccati, frantuma sogni. I mille tifosi tarantini hanno adesso la percezione esatta della missione che fallisce e imprecando abbandonano lo stadio.
di Lorenzo D'Alò
Il conto è servito
Due anni di follia, di errori pazzeschi, di guerre intestine, di tutti contro tutti, caratterizzati da una società scellerata, da un gruppo di giocatori tra i peggiori per qualità morali e tecniche, da un ambiente spaccato, velenoso, da una città che conta incapace di produrre una soluzione dignitosa ad una penosa lite societaria. Commovente la risposta dei tifosi a Fermo, dove in mille si è tifato sino alla fine. Il tam tam parla di programmi di rivincita, mai come questa volta tempestivi. Azzeramenti dei vertici, management nuovo di zecca, programmazione, domanda di ripescaggio (per la quale, si dice, saremmo in pole position, considerato che il Paternò, squadra che ci precede, è stato ripescato lo scorso anno), risanamento finanziario. Risposta che doveva venire (e guai se non arrivasse), ma che non può sanare le ferite lancinanti, non può cancellare ciò che è successo, non può passare attraverso la richiesta di una nuova società. Il punto di non ritorno è stato toccato. Da tempo. I tentativi postumi non hanno fatto il miracolo. La città ha bisogno di capire quale calcio può produrre. Penso che questo debba essere il tema che ci debba coinvolgere tutti. C'è bisogno di voltare pagina. Oggi, sinceramente, penso che sia impossibile per chiunque pensare ad un calcio con gli stessi protagonisti, ma che sia davvero una svolta.
di AF
Tutti a casa!
Serve una svolta. Seria e definitiva. Non si può prescindere da questo punto di partenza : è una esigenza unanime, purificatrice, anche per dei cuori allenati come i nostri. La retrocessione subita, suona come capolinea di una politica societaria scellerata che ha certamente radici più profonde rispetto alla storia degli ultimi due anni. Ma questo non basta, può non bastare. Serve capire quale calcio può produrre questa città. Serve capirlo ora, perché si deve ripartire subito. Il Taranto, Taranto città, sembrano ormai condannati ad una precarietà, ad un calcio marginale. Non aver prodotto una soluzione accettabile ad una crisi societaria lunga due anni, il cui epilogo ha confermato la sua natura squisitamente “privata”, conferma lo stato di debolezza. Se vogliamo, la parentesi pieroniana, nella sua parabola triste, al di là delle odiose (il riferimento è ai tanti scandali che ne hanno scandito il tempo) specificità che si porta dietro, costituisce l’ eccezione ad oltre un decennio di saliscendi tra la quarta e la quinta serie, di estati bollenti, di stadi negati, di…Taranto. Ora si ritorna alla normalità (storicamente) recente, verrebbe da dire. E’ vero, Taranto è anche mille persone che tifano in maniera commovente, a 500 km di distanza, con un piede in C2, dopo essere passati attraverso impensabili umiliazioni, non solo di carattere sportivo. Taranto è anche migliaia di persone pronte ad affollare lo stadio, a sfilare i corteo per un’idea di calcio diversa, per un sentimento che non muore. Ma nel calcio, lo abbiamo imparato definitivamente sulla nostra pelle, questo conta davvero poco.
Bene fa la società a dare segnali di vita immediatamente dopo la condanna della retrocessione. Il vuoto che poteva crearsi (o potrebbe crearsi) avrebbe reso tutto più difficile, travolgendo definitivamente ogni germoglio di rinascita. Male, malissimo fa a non mettersi da parte, a rendere effettivamente disponibile il titolo sportivo. Sarebbe un segnale di chiarezza, responsabilità, verso se stessi e verso la città. L’unico gesto di dignità possibile (insieme a quello compiuto di rilanciare). Non solo. Un passaggio necessario per offrire una risposta al nostro quesito di partenza : quale calcio questa città è capace di produrre?
P.S. Una retrocessione è la sconfitta di tutti, ovviamente con responsabilità diverse. Retrocede la società, principale responsabile di una gestione allucinante, responsabilità che non può godere di attenuanti e che non può essere sfumata con altre considerazioni, che sono solo di corollario. Perdono i tifosi, coloro che hanno creduto di voler buttare tutto a mare sin da settembre ( e non ci sono riusciti), pensando che tutto fosse meglio di quello che si aveva, e coloro (come chi scrive) ha pensato più utile distinguere tra le responsabilità, salvaguardando anche nei momenti più bui l’unico valore che si poteva avere (la squadra e la C1), ma alla fine (non riuscendo come i primi) risultando la stampella del padrone. Retrocede la stampa (della città si è detto). Divisa su tutto, incapace, come i tifosi, di creare una posizione consapevole, condivisa, cosciente, ossessionata da o innamorata di Pieroni. Abbarbicata a volte su indigeste soluzioni alternative, offensive (al di là degli uomini) al pari delle bugie marchigiane. Non vince nessuno, insomma. E non vuole essere una consolazione. Ora bisogna ricostruire, partendo proprio da qui. Un passo indietro. Io diffiderei da chi si darà a ragione. Purtroppo, invece saranno in tanti. E ricostruire sarà sempre difficile.
di AF
Una città colpita al cuore
I tifosi: «E ora andate via». Ci si interroga sul futuro
Le 18 e 23 di domenica 6 giugno: scocca l'ora della «disgrazia» sportiva. «Annunciata» pensa qualcuno rimasto a Taranto. «Assurda» rispondono diversi ultrà in ritorno da Fermo. Hanno «sfidato» cinquecento chilometri per essere presenti allo stadio «Recchioni». Hanno tifato e sperato sino all'ultimo. Ma poi hanno chinato il capo davanti alla caduta in serie C2. Prima di accettare il verdetto, hanno compiuto l'ultimo atto dignitoso: esporre uno striscione già scritto:
«E ora andate via», riferendosi a chi?
«Alla società e alla squadra» spiega Antonio Fullone, leader dell'associazione Tifo è Amicizia, che fa le veci dell'intera frangia rossoblù.
Nessun gesto violento, a parte qualcuno che ha tentato disperatamente di entrare in campo. I supporters jonici hanno accettato civilmente la sentenza. Ma dentro l'animo di ognuno dei mille ultrà cova la rabbia.
«È come se avessi davanti agli occhi - continua Fullone -
un vaso rotto in mille pezzi. Sono le mille colpe di una stagione maledetta».
Sotto accusa, in prima fila, c'è la società. Per due anni interi, dopo il mancato approdo in B, la tifoseria ha espresso il malcontento
«per una politica sportiva basata sull'improvvisazione». Gradualmente lo Iacovone s'è svuotato. Ma domenica scorsa, per l'andata dei playout, il «catino» del rione Salinella era tornato ad emettere le sue «scosse». Non sono bastate a caricare la squadra, che ha mostrato dei limiti. Fisici e mentali. L'ultima speranza era riposta nella partita di Fermo. È finita 0-0, un pareggio che sprigiona un sapore amaro. Lo stesso si è diffuso in città. Mentre a Fermo il trentino Brunialto fischiava la fine, sopra Taranto calava il silenzio. Sarà rotto solo dalle trombe dei fans di D'Alema e Follini che ieri hanno tenuto i comizi per la campagna elettorale. Ma la politica non riaccende l'animo dei tifosi.
«Oggi è stata sconfitta una città intera. L'ultima graduatoria economica nazionale ci ha piazzato all'ultimo posto, ora lo siamo anche nel calcio. La colpa? Di tutti. Società, squadra, stampa, imprenditoria e pubblico, che è tornato a tifare solo alla fine. Troppo tardi». Una signora che vuol rimanere "anonima", ieri ha telefonato alla redazione tarantina della "Gazzetta". Si è sfogata,
«per una retrocessione inconcepibile, che ha fatto piangere mio madre. Ha più di 80 anni, molti dei quali li ha passati seguendo le peripezie del Taranto Calcio».
di Alessandro Salvatore
Taranto, disastro annunciato
Gli jonici bloccati sullo 0-0 dalla Fermana: arriva la retrocessione in serie C2. Inutile l'ultimo assalto alla salvezza: in zona gol troppi limiti. Ma Pieroni e Giove rilanciano:
«Via tutto lo staff attuale e risorgeremo dalle ceneri»
Il Taranto non ce la fa. Con due pareggi, la formazione di Bianchetti esce di scena e viene condannata alla retrocessione nel campionato di serie C2. Nonostante la grinta e la determinazione che la squadra jonica ha messo in campo ieri pomeriggio, l'impresa di salvarsi non è riuscita. Nemmeno il tempo di metabolizzare la retrocessione, che Pieroni e Giove hanno subito rilanciato, assicurando un nuovo progetto «magari con una società allargata» e annunciando il repulisti degli attuali dirigenti e collaboratori dai quali si aspettano le dimissioni tirimediate. «Siamo nella cenere ma siarito pronti a ripartire, ammesso che non ci ripeschino», hanno fatto dire a Montella, che di questa operazione sarà parte integrante.
Merito, senza dubbio, di un avversarto tenace e ben organizzato, che ha saputo chiudere tutti gli spazi e coprirsi molto bene, specie nella ripresa. Il Taranto, dunque, ce l'ha messa tutta, andando a più riprese vicino a quella vittoria corsara che gli avrebbe permesso di rimanere in categoria. Retrocessione che brucia in casa Taranto ed ancor più a quella folta rappresentanza di tifosi arrivata fino a Fermo per sostenere i propri beniamini. Al termine dell'incontro, tuttavia, il pubblico ha rumoreggiato il proprio dissenso nei confronti di una squadra che ha provato fino alla fine a far suo l'incontro. Proprio i tifosi, però, non meritavano questa amarezza: a differenza della squadra, loro sì che hanno dimostrato in particolare durante questi play out di essere un pubblico di categoria superiore. Ma passiamo alla cronaca. Gaia nervosa quella tra Fermana e Taranto, come, in effetti, si poteva supporre. La posta in palio era decisamente alta e le due formazioni, per buoni 20', hanno giocato più con la paura di per^ dere che con la convinzione di poter impensierire l'avversario. E Taranto, tuttavia, è sembrato da subito più spigliato e ha cercato fin dalle prima battute di mettere in difficoltà la retroguardia locale, sempre attenta e ben schierata sul rettangolo di gioco. Già al 3' la formazione rossoblu si è resa pericolosa in area avversaria, dove, al termine di una mischia quattro consecutive conclusioni hanno fatto gridare più di una volta al gol. Salvataggi in extremis dei difenso- però , hanno detto no a Triuzzi e compagni. Per i canarini e si intuisce da subito, non sarà una domenica pomeriggio tra le più serene. Il Taranto c'è e si vede. Poco dopo il uarto d'ora è Bettoni a servire bene Croce, il quale non riesce nella deviazione vincente colpendo l'estemo della rete. 1 circa 1000 tifosi rossobIù si accendono con le fiammate dalla loro formazione, incitando a più riprese i loro beniamini. La Fermana, tuttavia, regge bene. Bruniera schiera un 4-5-1 che sembra piuttosto solido. Il 3-5-2 di Bianchetti invece, diventa, dopo la prestazione di domenica scorsa, un attento e cinico 4-4-2. In avanti Triuzzi, termine ultimo di ogni azione offensiva dei rossoblu. Al 37' è ancora l'avanti ionico a rendersi pericoloso, con un'incursione che mette in apprensione la retroguardia locale. Pochi minuti più tardi è, invece, Vidallé a sprecare una buona chance colpendo di testa troppo debolmente. La gara è a senso unico e i canarini stentano ad uscire dal guscio. Il Taranto appare padrone del campo e dirige e detta i ritmi di gioco senza problemi. La rete, però, non arriva. Un tiro alto di Triuzzi chiude, di fatto, la prima parte di gara. La seconda frazione di gioco segue lo stesso copione dei primi 45'. La formazione ospite si gioca il tutto per tutto rischiando di subire proprio in contropiede. Il continuo avanzare degli uomini di Bianchetti, infatti, lascia scoperto il fianco alle pericolose ripartenze locali. Il più in forma sembra Luciani, che al 4' rischia di arrivare al gol con una bella girata di poco a lato. Al T è invece Onesti ad inguaiare l'estremo dífensore ionico Di Bitonto, con un fendente che si perde, però, alto sopra la traversa. La Fermana, apparsa per un attimo più spigliata, sembra poter rispondere agli attacchi ospiti, che si fanno più insistenti intorno alla mezzora. Per dieci minuti buoni, infatti, la formazione di Bruniera appare in grande difficoltà di fronte al forcing degli uomini in casacca rossoblù. Il numero uno di casa Chiodini è chiamato agli straordinari per evitare che i suoi capitolino di fronte all'avanzata ospite. Sotto porta sono tante le occasioni per Triuzzi e compagni, che, tuttavia, non riescono ad averla vinta. La difesa di casa, infatti, seppur con molte difficoltà, riesce sempre ad avere la meglio, spazzando il più lontano possibili il pallone per ti . uscire a respirare un attimo La gara si chiude dopo 4' di recupero concessi dal direttore di gara, che non bastano ai rossoblu per acciuffare in extremis una vittoria che, in fondo, avrebbero meritato. Condannati a retrocedere, i sostenitori ospiti si lasciano andare a cori piuttosto pesanti. Il tutto durante l'invasione pacifica dei sostenitori locali.
Rossoblu, il verdetto del pubblico
Il verdetto è chiaro, assolutamente limpido. La gente comune, i tifosi, chi si è sobbarcato 500 chilometri sotto la pioggia guidato da una flebile speranza, si è espresso, con fermezza e civiltà, negli stessi termini in cui lo aveva fatto anche domenica scorsa, dopo il pareggio dello Iacovone. Cori, striscioni inequivocabili, come quello apparso ieri a fine partita: "E adesso andate via".
Perché questa amarissima retrocessione, il ritorno all’inferno della serie C2, ha radici in un passato recente che nessuno ha scordato.
I rossoblu sono caduti nel doppio scontro con la Fermana, il Taranto è stato condannato da due anni di autentica follia, da un modo di fare calcio che si è sviluppato sfidando ogni tipo di logica. Tutto è stato sbagliato da quello 0 a 0 con il Catania, che fa il paio con il risultato del Recchioni, chiudendo un cerchio: il calcio tarantino si è sviluppato, tra cause civili, "appropiazioni indebite", firme false ( su cui si aspettano le decisioni anche della giustizia sportiva) eccetera, nelle aule dei tribunali più che sui campi da gioco, mentre nel frattempo la tribuna dello Iacovone dove alloggiavano i "vip" andava desertificandosi.
Da uno 0 a 0 all’altro c’è stato, da parte di chi è retrocesso due volte nella stessa stagione, uno sconcertante alternarsi di lunghi silenzi e di dichiarazioni simili a prestampati, uguali a se stesse, sempre e comunque.
C’è stato chi queste dichiarazioni le ha raccolte e amplificate, approvandole e sostenendole.
C’è stato chi, quando ancora bisognava giocare a Fermo, quando il destino andava ancora scritto, già aveva tirato fuori quello che pare destinato a diventare un tormentone, il ripescaggio.
Si annuncia un "repulisti di dirigenti": ma ridipingere una facciata non risolve alcun problema. La retrocessione è purtroppo l’unico punto fermo, e da questa deve partire una necessaria, improcastinabile rifondazione. Gli esempi a cui guardare sono magari quelli di città come Messina, un tempo rivale del Taranto in serie B e che oggi è ancora ebbra di felicità per la conquista della massima serie. A retrocedere ieri è stato un modus operandi scellerato, a piombare all’inferno è stata una gestione contraddittoria e paradossale.
Solo i tifosi, solo chi davvero ha mostrato con i fatti di tenere a questa maglia e a questi colori, può oggi andare in giro a testa alta.
Ed ha già espresso il suo verdetto. di Giovanni Di Meo
Ma la tifoseria rimane unita
Un coro unanime da parte del popolo della curva. «Vogliamo un calcio dignitoso».
«Pieroni e gli altri soci hanno fallito.Ora serve una svolta vera»
La maledizione della C2, abbattutasi sul Taranto, non divide la tifoseria. Anzi la unisce.
«Lo striscione di Fermo che dava il benservito a società e squadra? L'avremmo esposto anche se fossimo rimasti in C1». È tarda mattinata nella piazza "Gesù Divin Lavoratore" del rione Tamburi. Giovanni Russo, devoto al gruppo della Curva Nord Crazy Group, discute sul pallone assieme ad altri amici, tifosi e simpatizzanti del Taranto. Lo fa davanti al "Mini bar", testimone di trasferte memorabili. Se le ricorda nitidamente il gestore del piccolo ma accogliente esercizio, Ignazio D'Andria, amareggiato per una retrocessione,
«che è - assicura il barman - la logica conseguenza di una dirigenza latitante. La mia non è una critica distruttiva, ma una reazione trasmessa dal cuore, che batte per quella maglia». D'Andria indica con orgoglio le fotografie di un Taranto lucente.
«Veda questa immagine. È il gruppo dei partenti per la partita di Cambobasso, di qualche anno fa». Era serie C2, da Taranto, rammenta più gente nel bar, giovane e anziana,
«ci muovemmo in cinquemila».
C'è poco da meravigliarsi, la fede rossoblù non è quantificabile. «Ma la nostra dignità non va sporcata. Purtroppo - dice Russo -
l'hanno fatto a Fermo e allo Iacovone due domeniche fa, diversi giocatori del Taranto. Da loro ci saremmo aspettati un atto d'amore, invece hanno recitato un copione... ridicolo. Non salviamo nessuno? Mi faccia pensare. Bè, credo che la maglia sia stata onorata, per una stagione intera, da veri uomini come Croce, De Liguori e Paoli. Dal loro impegno bisognerebbe trarre insegnamento».
Il tifoso si sente tradito. Come lui tanti altri. «La società chiederà il ripescaggio? C'importa poco. Noi vogliamo una dirigenza seria, che faccia pulizia nel pallone locale. Potremmo anche ripartire dai Dilettanti, ma l'importante sarà recitare seriamente». D'Andria in vita sua avrà seguito svariate centinaia di partite del Taranto. E non solo:
«All'epoca della presidenza Fasano - ricorda -
io e la mia famiglia gestivamo il bar dello stadio. Altri tempi. Belli ed emozionanti. Adesso? Avvertiamo un vuoto infinito. A colmarlo sono i ricordi».
Ma la tifoseria non scivola nella retorica. La delusione della C2 non placa il dibattito, che nei giorni seguenti potrebbe culminare nell'ennesima protesta cittadina. Nei bar e in piazza il pallone è un argomento "masticato" in continuazione. «Lo scriva a caratteri cubitali: grazie Pieroni. Ci ha riportato da dove aveva cominciato. Ora vada via, assieme agli altri soci. Avete dimostrato scarsa credibilità». È amaro il commento di Antonio Serio, titolare del Bar Cubana, ritrovo "vissuto", in via Acclavio, dell'associazione Tifo è Amicizia, di cui lui stesso è presidente.
«Il mio gruppo ha ospitato convegni e manifestazioni, nel nome del buon calcio. Avevamo raggiunto il numero di 300 associati, ora è sceso a 100. Colpa dell'"aridità" dei risultati. Ma dalla retrocessione bisogna uscirne fuori. Come? Chi ama Taranto, deve investire seriamente nel calcio». L'appello è disperato ma sentito.
«L'Ilva o le aziende petrolifere potrebbero rilanciare il nostro calcio. Siamo stanchi di vivere un incubo che si trascina da tempo, vogliamo tornare a sognare. Che sia C1, C2 o D... ». La realtà è cruda, non scende giù.
«Sono arrabbiato - dice Pasquale Maraglino, titolare del Bar degli Stemmi, sede di Taranto Supporters -, la retrocessione dovrebbe far vergognare la città. Non è bastato il sostegno dei "miei ragazzi", che sono andati a Fermo nonostante la vergognosa prova dello Iacovone. Lo sa a che ora sono rincasati? Alle 5, per colpa del bus, che se è andato in avaria. A questo punto mi verrebbe la voglia di chiuderla col pallone!».
Ma il cuore batte ancora. Quella maglia incorniciata di Iacovone è un cimelio venerato. Al "Mini bar", come in tanti altri "covi" rossoblù.
«Tempo fa feci una provocazione all'ex presidente Giove - rivela Ignazio D'Andria -.
Gli consigliai di andarsi a vedere alcuni giocatori della Terra Rossa e dell'Ausonia Taranto, che militano in Terza categoria. È gente talentuosa, votata al calcio, che nel Taranto giocherebbe anche gratis... ». È quasi pomeriggio, il bar non chiude. Si parla ancora di calcio.
di Alessandro Salvatore
Retrocessi in C2: è la prima volta!
Il Taranto retrocede in C2: è la prima volta in 77 anni di storia che i rossoblù scendono dalla "terza divisione italiana" (la serie C o C1) alla "quarta". Va detto che gli ionici prima della radiazione del 1993 (retrocessi dalla B alla C1 al termine della stagione 1992-93 ma poi esclusi da tutti i campionati per inadempienze finanziare) avevano sempre militato tra i professionisti disputando dal 1927 al 1993 o il campionato di serie B o quello di C (o C1). di
Franco Valdevies
Il commento di Enrico Sorace
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