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Dopo Di Maggio, scompare anche Fico. Noi lo vogliamo ricordare pubblicando due commenti contemporanei e due, per così dire, storici. Ci sembra il modo migliore, soprattutto per chi non ha avuto la fortuna di vivere quelle stagioni per farsene un'idea. Un'idea solamente, perché, guarda caso, come si intravede nel brano di Lopane, anche quel passaggio di mano societario è stato accompagnato da non poche parole (oltre che preceduto da una crisi profonda). E' la continuità di una storia calcistica, fatta di luci e, soprattutto, di ombre. Una storia che dovrebbe anche far riflettere chi oggi vive in prima persona le vicende del pallone di casa nostra. Fico, la sua gestione, pacificatamene, viene considerata fonte di luce nella storia rossoblu. Il tempo, anzi, sembra aver rivalutato ancora di più il suo passaggio: un modo romantico di gestire la società, diretto, senza intermediari (figure assai inflazionate nel mondo del calcio) e soprattutto 5 anni di Serie B. Senza interruzione, con il sogno della A accarezzato per un intero girone di andata, stroncato definitivamente (perché quella squadra era già in declino) con la morte di quel Iacovone mai dimenticato. Tuttavia Fico era il presidente di una squadra che rappresentava una città che forse, mai come in quegli anni, vantava uno sviluppo economico (poi rilevatosi di cartone) invidiabile. Erano gli anni del boom economico. Erano poi gli anni in cui il Taranto poteva porre le basi per il grande salto. Al di là della gravissima perdita di Iacovone. E invece, al cambio, come nella migliore tradizione tarantina, si dovette ricostruire tutta da capo, con i risultati che conosciamo (Carelli che subentrò a Fico fu, si può dire, fu l'unico presidente a puntare alla A con una faraonica campagna acquisti). Fico dà la sua versione a Lopane, versione che non coincideva con quella che molti, a quel tempo, si erano formati. Così come non va trascurato che Fico subentra al Taranto di Di Maggio e di Invernizzi, ovvero al Taranto che ha conseguito il miglior piazzamento della storia rossoblu (quinto a pari merito con la Spal,a 39 punti). Anche di quella squadra,nelle mani di Fico, non rimase nulla. In perfetta continuità. Insomma, un ricordo di Fico, presidente giustamente amato, con un occhio alla storia che possa servire a leggere meglio il presente.  

La redazione 

Un presidentissimo figlio del popolo

di Clemente Salvaggio

Tornavo a Taranto da Genova, in aereo, su un "Fokker 27" che allora faceva scalo intermedio a Grottaglie prima di concludere il volo a Brindisi. Era domenica e proprio nel pomeriggio si concludeva al "Salinella" il campionato di Serie B che sarebbe stato l'ultimo del binomio Di Maggio-Invernizzi. Il Taranto avrebbe affrontato una grande squadra, il Varese. Non volevo mancare all'appuntamento. A Grottaglie avevo lasciato parcheggiata la mia "Fiat 124 T" ed ero convinto di fare a tempo per essere presente al calcio di avvio. Eravamo a giugno del 1974. 
Il Taranto stava per concludere il suo campionato con grande soddisfazione del pubblico, che aveva come pupillo l'allenatore Invernizzi e che non capiva il perché dell'ostinazione del presidente Di Maggio a non gradire più la presenza dell'ex interista. 
Le previsioni erano nere per l'avvenire della società, perché il deluso Di Maggio minacciava di liquidare tutto e di andar via. 
Correvo in auto verso Taranto e verso il "Salinella" e in mente mi si affollavano i pensieri relativi alla possibile soluzione dell'ennesima crisi che avrebbe sconvolto la tifoseria rossoblu. Ci voleva un nuovo presidente, ma in città non si intravedeva nessuno in grado di rilevare l'eredità di Di Maggio.
Correvo verso il "Salinella" e arrivato in viale Magna Grecia, quasi all'angolo del bivio per corso Italia, andai a tamponare una "Mercedes" di color rosso che si era fermata improvvisamente per effettuare la svolta a sinistra.
L'urto, ovviamente, mi fece abbandonare i pensieri in rossoblu e così scesi dalla vettura per affrontar il presumibile adirato proprietario della "Mercedes". Nell'inquadrare l'incuriosito e divertito personaggio riconobbi in lui un operatore di commercio tarantino che avevo incontrato nei giorni precedenti nel Salone degli Specchi al Comune quando il sindaco Lorusso aveva convocato una riunione di imprenditori nel tentativo di comporre una cordata capace di rilevare il Taranto da Di Maggio.
Quel tizio mi era rimasto impresso perché era risultato uno dei pochi che si era dichiarato pronto a "regalare" un po' di soldi (un tot che ora non rammento) ma lo avrebbe fatto a scatola chiusa, senza pretendere incarichi o ricevute per il versato. Voleva aiutare il Taranto, e basta.
Scesi dalla vettura, lo inquadrai, lo riconobbi e gli dissi: "Il danno alla Mercedes lo risarcisco interamente, ma tu dimmi un po?: Ci staresti a fare il Presidente del Taranto?"
Mi guardò divertito nonostante il tamponamento: "Il Taranto? Io Presidente? Ma cosa ti prende? Andiamo a vederci la partita. E' inutile che fai la denuncia all'Assicurazione. Non voglio niente. Il Taranto? Sì, m'interessa, ma non voglio fare il presidente". Ma io tornai alla carica: "No. E' un fatto di notevole importanza. Insisto: ci stai a fare il Presidente?... - "
"E' inutile parlarne qui. Non vedi che fila s'è fatta dietro di noi? Ne riparliamo domani?"
La denuncia all'Assicurazione la feci ugualmente, e lui in seguito mi "accusò" di non aver tenuto conto del suo desiderio di non volere alcuna riparazione di danno. Fatto sta che dopo, i fatti maturarono e che dal disastro incombente il tutto si tramutò in un bene perchè Giovanni Fico, allora poco più che quarantenne, divenne dapprima il maggiore azionista del Taranto e poi il Presidente della Società rossoblu.
Fu un'autentica esplosione di genuinità e passione popolare tarantina.
Mise a repentaglio, lui autentico figlio del popolo che aveva lavorato fin da ragazzino, il suo patrimonio fatto di lacrime e sacrifici. Portò a compimento cinque campionati di serie B con salvezze mirabolanti e Coppe Italia di prestigio, nonché a vivere l'immancabile sogno di approdare in serie A. Fu quando, dando credito all'allenatore Gianni Seghedoni, si convinse ad acquistare per ben quattrocento milioni il centravanti Erasmo Iacovone dal Mantova vincendo la concorrenza di club di B e di A.
Segnava gol Iacovone, e giocava anche bene facendo disegnare sul terreno di gioco a elementi come Selvaggi, Gori, Fanti, e via discorrendo, ghirigori da categoria superiore che esaltavano lo stadio Salinella, divenuto "fossa dei leoni" per ogni squadra.
A raccontarvi come poi Giovanni Fico abbandonò il Taranto, dopo aver inseguito sogni di grandezza, occorrerebbe scrivere pagine e pagine che un giorno - forse - mi convincerò a regalare ai miei ricordi. Incredibili gli episodi, assurdi gli epiloghi, esaltanti i risultati creati con pochi soldi, ma certamente con grande slancio.
Secondo me il grandissimo e caro Giovanni cessò di credere nel calcio quando - in seguito ad un assurdo incidente stradale - gli morì Erasmo Iacovone. A novembre, nonostante le grosse offerte rivevute, lui non aveva voluto cederlo perchè sperava tanto nella serie A. E invece Erasmo era morto. 
In quindicimila furono i tifosi che parteciparono sotto una pioggia battente ai funerali del povero Erasmo conclusisi al Salinella. Ricordo sempre le parole di Fico, parole tremanti a conclusione del giro di campo con la bara portata a spalla dai rossoblu: "Ho considerato e considero sempre i giocatori del Taranto come miei figli. Ma tu Erasmo eri il migliore. C'erano molte squadre che a novembre ti volevano. E io non t'ho ceduto. Se l'avessi fatto, ora tu saresti vivo. Perdonami, Erasmo. Questa folla ti applaude ancora e io m'impegno che per il futuro questo stadio si chiami per sempre "Erasmo Iacovone".
E così fu. Lo stadio si chiama ancora "Iacovone" e tu, Giovanni, te ne sei andato spegnendoti in silenzio senza avere mai dimenticato i tuoi amori profondi: il lavoro, la famiglia e il nostro Taranto. Che la terra ti sia lieve, compagno di tante battaglie.

da "Il Taranto di Sant'Antonio"

di Dino Lopane

"Mettiamo in chiaro una cosa una volta per sempre - così inizia una chiacchierata -; altrimenti la gente viene rimasta sfottuta : deve sapere che io lasciai 87 milioni di utili" Carelli "portò 4 giocatori - fenomeni e noi dovevamo dire : d'accordo. Però quando me ne andai , Carelli mi disse : portati via tre giocatori e mezzo e tutti i debiti del Taranto furono pagati lì. Poi Carelli mi ha dato 12 milioni e mezzo, giusto il costo delle azioni, e si prese il Taranto, una squadra in serie B. Dopo un po' - senza volerlo perché non lo sapevo - dalla Lega ci fu un accredito di 87 milioni di lire. Di questi gliene rimasero, non so come 4 milioni. Quindi io passai la mano 12 milioni e mezzo e in più 87 milioni. Quindi il Taranto di Fico non era pieno di debiti"
" Quando partii per Milano (per il calcio mercato) avevo un appuntamento con quello del Brescia, i quali mi davano Inchini, Guida e 300 milioni per il solo Selavaggi. Se li avessi portati a Taranto forse non mi serviva più nulla per fare la squadra. Ma giunse una telefonata fattami da mio... Ed io ho il giornale e te lo porto :"Ultimatum a Fico, se entro oggi non decide di fare...Stasera si fa un comunicato stampa". Mio nipote Stefano Cristoforo disgraziatamente riuscì a rintracciarmi".
"Volevano che io mi adeguavo alle cose fatte da Carelli, ma io quei 4 giocatori li avrei comprati neanche per una lira. Io dovevo portare a casa qualcosa, perché ho questo vizio, così decisi di cedere Selvaggi solo per soldi. L'indomani corro a Taranto e una certa persona mi disse :"Non ti posso fare niente,alle 5 bisogna fare un comunicato stampa perché si dice che è bugia che vuoi lasciare il Taranto". Risposi che a queste condizioni non ci stavo. E così la mattina c'erano 30 mazzi di garofani, 30 mazzi di rose, la banne, 'a musica, le bandiere al Comune... Tant'è che mi trovai con il piatto fatto tant'è vero che mi consegnò, puttana miseria, nelle mie mani 12 milioni e mezzo e poi dalla Lega, me lo disse Alessano, il mio commercialista, che erano arrivati 87 milioni. Io sono fornito di questo documento. Quindi bisogna dire che Fico ha lasciato la società in attivo"


La morte di Fico e del calcio che fu

di Lorenzo D'Alò

Di Maggio, Fico. Pensiamo quasi non sia casuale che Fico abbia scelto di seguirla. E di dargli la precedenza nel congedarsi da questo mondo e, soprattutto, da questo calcio. Gli uomino come lui hanno un senso del destinoe delle occasioni. Fico non aveva niente per piacere al pallone che oggi rimbalza sbilenco. Lui è stato il passato, lo ha rappresentato per intero, con orgoglio, con dignità. E ieri è stato come avesse deciso di tornare a se stesso , di riprendersi il suo tempo. Di fare notizia in un giorno in cui il calcio tace, in attesa di tornare ad occupare la scena. Fico ha scelto ieri per lasciare il Taranto orfano del suo presidente più vero, più genuino. In realtà quelli come Fico non hanno età e non importa se muoiono. Domani sarà lo stesso Fico di ieri, la stessa immagine, lo stesso simbolo, lo stesso carico di ricordi. Quelli come Fico rappresentano il trionfo dell'ingenuità, di quell'astuzia un po' goffa, moto semplice, che pare solo buonsenso e invece è vita. Quelli come Fico mettono il sogno davanti a tutto e credono sia normale farlo. Non fanno sforzi per assecondarlo e non si meravigliano quando diventa realtà. Solo una volta il sogno lo ha fregato: è stato quando Iacovone, praticamente suo figlio, morì. Da allora, Fico è andato avanti, sapendo perfettamente di essere rimasto lì: a quell'alba presaga di dolore. Annate, partite, gioia, sofferenza. E scoperte, affari, bidoni, aneddoti, innamoramenti, passioni, furbate. Giovanni Fico è stato molto, ma ciò che qui preme sottolineare è la sua diversita. Il suo essere unico, quasi irripetibile. Il suo venire dal nulla e il suo andare incontro al tutto, mettendo insieme esperienza, mestiere, trovate, intuizioni. Il suo inventarsi personaggio. Il suo imporsi sorprendente. Qualcosa di irresistibile. Fico è stato un Forrest Gump del pallone: la vera differenza era nell'anima.
Chi l'ha conosciuto, racconta di un uomo che non ha mai smesso un momento di avere nostalgia del futuro, pur avendo già vissuto la parte migliore della sua vita. Fico era tutto spigoli e talento oscuro. Si capiva dopo che aveva quasi sempre ragione lui. Ha fatto calcio come allora era impensabile farlo: con cervello e cuore, in quest'ordine, facendo spesso coincidere ragione e sentimento. Fico era la forza della volontà, il senso e il gusto della fatica. Poco azzardo, molto calcolo. Sapeva che non c'è ricompensa, senza sudore. Glielo aveva insegnato la vita.
Pensiamo che con lui sia finita una "specie" di uomini. Uomini con le spalle larghe come le vedute. Fico è stato il massimo del normale. L'uomo che gira il destino (non solo il suo) senza sapere che cosa sia. Solo perchè gli sembra giusto farlo. Di Maggio, Fico: difficile che si riaffaccino precedenti così. Difficile che spuntino fiori dal fango del nuovo calcio, quello del business a tutti i costi, delle plusvalenze e dei conti truccati. Un calcio disumano, senza valori, privo di ideali.
Ci piace ora immaginare la scena: Fico che lassù incontra Di Maggio. Per riprendere vecchie discussioni sul pallone, per parlare del Taranto, che Giovanni ereditò da Michele, e di come tutto sia irrimediabilmente cambiato. Siamo sicuri che Fico, mentre discute, sta già pensando a come battere Di Maggio nel ricordo.

Da 70 anni in rossoblu

di Rino Dibattista

Giovanni Fico, 80 chili di muscoli ben distribuiti per i suoi 175 cm. di altezza, 49 anni da poco compiuti, - presentavo così il presidente del Taranto in un pezzo pubblicato sul Corriere dello Sport del 12 maggio 1977, quando il lavoro da lui svolto come massimo responsabile della società presentava ancora un saldo attivo - personaggio tra i personaggi del pittoresco mondo calcistico. Il ruolo di comprimario non gli si addice. Primo attore o nulla. Non ama le vie di mezzo : dentro o fuori. Per questo suo modo di fare, si è trovato sulle spalle il carico della gestione della società.
Accade nell'estate del '74: squassato dalla tremenda crisi provocata dalle dimissioni di Di Maggio, il Taranto era passato temporaneamente nelle mani dei politici, ai quali la Lega aveva affidato il compito di cercare una soluzione che potesse evitare la liquidazione del patrimonio societario.
Riunioni interminabili, lunghe trattative, proposte di dosaggi nella rappresentanza e inviti a uomini facoltosi non avevano dato alcun esito. A quegli incontri Fico partecipava nella sua qualità di consigliere comunale eletto nelle liste dell'Associazione Commericianti., ma in uno stato di costante insofferenza. A lui, uomo abituato all'azione, quelle chiacchiere risultavano insopportabili. Quando ormai fu chiaro che non c'erano vie d'uscita, si fece avanti : " E' ora di finirla. Quant'è il pacchetto azionario ? Prendo io la maggioranza!" disse con i suoi modi spicci.
Qualcuno pensò che fosse la sortita di chi aveva solo voglia di mettersi in mostra. Fico, invece, faceva sul serio."L'ho fatto per la mia Taranto e per i tarantini. Capisco poco di calcio, quasi nulla. La mia unica esperienza calcistica è quella di tifoso piuttosto tiepido, ma imparerò"., dichiarò a cose fatte. Così nel giro di 24 ore si trovò presidente. Il suo compito era quello di ricostruire una casa ridotta in macerie. Ad imparare fece presto. Gli valse la sua esperienza di operatore economico, capace di passare da un'attività all'altra con uguale efficaci. Da piccolo commerciante di carni si era trasformato in importatore, creandosi una discreta fortuna. Il suo colpo da maestro era stato, però, il rilevamento di una azienda metalmeccanica di medie dimensioni che era sull'orlo del fallimento. Fiutò l'affare e, quasi senza sapere nemmeno cosa fosse un bullone, rilevò l'azienda portandola in pochi mesi ad un bilancio attivissimo ed alla successiva espansione. Pur essendo ora un industriale, continua a ritenersi soltanto un commerciante. "Ho frequentato appena la quinta elementare. So fare solo di conto. Industriale è una parola tropo grossa", afferma furbescamente.
Appena insediatosi alla presidenza del Taranto, si trovò sommerso da un mare di problemi. La squadra, smembrata dalle cessioni estive, era in ritiro a Sangemini per la preparazione precampionato, affidata alle cure dell'allenatore in seconda, Lucio Vinci. Fico andò a trovare i giocatori e saldò tutte le pendenze. Tentò poi, di far tornare Invernizzi, l'allenatore dell'anno precedente, che non aveva ancora firmato il contratto, decise all'ultimo momento di rinunciare, ritenendo che la squadra avesse ben poche possibilità di salvarsi.
L'allenatore partì da Taranto due giorni prima dell'inizio del campionato e la squadra giocò la prima ad Avellino senza tecnico in panchina. C'era da scoraggiarsi, ma Fico tenne duro. Ingaggiò Mazzetti ed a ottobre acquisto Cazzaniga, Capra, Spanio, Iacomuzzi e Selvaggi. Riuscì ad ottenerli senza spendere molto, offrendo prova della sua abilità "Non è stato difficile. Ero l'ultimo arrivato e all'Hilton mi avevano preso per un allocco. Ho lasciato che lo credessero perché mi conveniva e loro sono cascati nella rete", spiegò al ritorno in sede.
Abituato ad andare per le spicce, Fico non è certamente quel che si dice un uomo di stile. Furbo di tre cotte, ha il gravissimo ed imperdonabile difetto di bearsi della sua spregiudicatezza : "Se devo fregarti, gioco sull'anticipo. Ma se assumo un impegno, lo rispetto fino in fondo. Altrimenti che uomo sarei?" E' tutta la sua filosofia, alla quale, tuttavia, molto spesso viene a mancare un reale riscontro. Le contraddizioni lo caratterizzano e fanno di lui un personaggio inimitabile, nel bene e nel male.
Passionale e sanguigno come può esserlo un uomo del Sud, diventa freddo calcolatore quando fiuta un affare o quando può risultare vantaggioso prendere tempo. In quei momenti, tira fuori tutti i suoi numeri : dice e non dice, finge di non capire, tergiversa, ti offre l'illusione che è ormai cotto per poi sorprenderti, riprendendo tutto da capo- dopo una vittoria parla ai giocatori in termini apparentemente assurdi. Le sue sortite sono quasi sempre sorprendenti : "Ragazzi, cercate di non vincere spesso. Non vorrete mica rovinarmi con i premi partita!".
Se cìè aria di burrasca, i suoi interventi risultano decisivi. Sul finire del torneo 74/75, quello del suo primo anno di gestione, la squadra navigava in bruttissime acque sotto l'incombente minaccia della retrocessione che ad alcuni appariva inevitabile. Al termine di ogni partita persa, Fico raggiungeva sorridendo gli spogliatoi : " Non è successo nulla! Non si può vincere ogni domenica : ci rifaremo tra 7 giorni. Stasera, intanto, siete tutti a cena con me". Era il suo personalissimo modo di dare la carica, sdrammatizzando la situazione.
Riuscì nell'impresa di salvare il Taranto e al termine dell'ultima partita, a permanenza acquisita, i tifosi invasero il campo, se lo issarono sulle spalle e gli fecero percorrere un giro d'onore.
"Mi hanno rotto le ossa, dimenticando che per convincerli c'è voluto il bastone!", si sfogò con chi si complimentava con lui. La storia del bastone è da raccontare. E' un episodio emblematico: dopo una partita persa in casa, il pubblico si radunò all'uscita degli spogliatoi per chiedere a gran voce la testa di Mazzetti. Fico tenne duro : affrontò i tifosi esasperati, armato di un nodoso bastone. "Chi vuole che cacci Mazzetti, si faccia avanti!": provocò la folla. Fu un gesto che acquietò tutti. Superato il primo naturale sbigottimento, i tifosi gli espressero solidarietà, battendogli le mani. "Avete visto come si fa?", disse quando le acque erano ormai calme.
Di lui si dice anche sia assai sensibile al fascino femminile. Sorridendo, lo ammette: "Sono rimasto scapolo proprio per questo. Mi piacciono tanto che non ho saputo scegliere", e giù una grossa risata. Fico, dunque. Un personaggio pittoresco, capace di trasformare anche il vocabolario, imponendo agli altri le sue personali trasformazioni. Dopo aver assunto la guida del Taranto, i politici gli proposero l'azionariato popolare, e lui lo trasformò in popolariato : la sua parola divenne subito di uso comune : "Voi ci scherzate - dice - ma ho veramente frequentato la scuola fino alla quinta elementare. Mi pare di aver raggiunto livelli notevoli. Non è parlando l'italiano perfetto che si fa storia". 

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