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La conferenza stampa

Blasi ha deciso: lascia
Il massimo dirigente mette in vendita la società e si nomina presidente provvisorio

Un lungo respiro taglia il prolungato ed iniziale silenzio. Gigi Blasi è provato. Ha appena ascoltato il comunicato che spiega le ragioni della conferenza stampa. Sguardo fisso, animo inquieto. La decisione maturata domenica sera e che si appresta a comunicare via etere, non è delle più facili. Gli episodi accaduti prima e durante Cavese-Taranto hanno lasciato il segno e creano il più classico degli spartiacque. Concetti semplici e crudi che aprono incerti scenari: Gigi Blasi non è più presidente del Taranto, la Taranto Sport è in vendita. Si chiude una gestione piena di sogni e ideali, si apre un periodo virtuale, che ha la scadenza nel 30 giugno. «Chiedo scusa alla tifoseria vera, ma da questo momento mi dimetto da presidente del Taranto». Quello che era nell'aria, si tramuta in pensieri ed azioni. Blasi pesa le parole e manifesta il suo rammarico. «Sono deluso ed emozionato. Sono anche stanco di sopportare tanti insulti e questi continui atti di violenza. Questo è un calcio che non mi appartiene e sono deciso a non tornare indietro».
Parole risolute che fungono da accorato sfogo. Blasi si sente vittima, secondo lui, di un “equivoco geografico”. Un sospetto che è montato esponenzialmente con la nota vicenda delle casacche biancoverdi impiegate nell'ultima trasferta campana. «Probabilmente bisogna vivere a Taranto, per tifare Taranto. Chi è lontano da Taranto non ha diritto di tifare per questa squadra. Io, forse, non posso essere interista perchè non vivo a Milano. Non si è tifosi del Taranto soltanto vestendo la maglia rossoblu. Quei colori, prima di essere indossati, bisogna sentirli dentro. Io li sento miei e credo di averlo dimostrato. Tutto questo ci dovrebbe fare riflettere».
Blasi si declassa. Si nomina presidente provvisorio con un mandato preciso. «Sono pronto a mantenere tutti gli impegni presi. Sono un uomo ed un imprenditore desideroso di rispettare il vincolo nei confronti dei propri tesserati e, soprattutto, di chi ha creduto in me».
Blasi si sente tradito. E' fallito uno dei suoi principali propositi che funzionava da perno centrale del suo progetto. Rimanda a quel famoso 14 dicembre 2004, data del suo ingresso nel calcio ionico. Il suo spot fu: no alla violenza. Domenica l'ennesima picconata al suo marmo di ideali. «Lo dissi il giorno del mio insediamento: non avrei tollerato qualsiasi atto di violenza. Volevo riportare le famiglie allo stadio. Da oggi posso garantire che se si dovessero ripetere certe situazioni, sono pronto a non far scendere più la squadra in campo. La ritiro, ma non la lascio in tribunale. La riporto dove l'ho presa. Dove? In C2, all'ultimo posto. Pagherò una multa, ma l'avrò fatto dopo una mia decisione, non c'è problema. Ho dato, in questi due anni e cinquanta giorni, il massimo della mia disponibilità personale ed economica. Ho fatto tanto, ma solo per il bene del Taranto, non certo a scopo personale. Se non si è capito, chiedo scusa».
«Sono stanco e dico basta» è il sottofondo di qualunque opinione. Blasi si sente abbandonato e spogliato delle sue prerogative. Gli rimangono gli attestati di vicinanza testimoniati in ogni forma. «Ho ricevuto messaggi, fax di amici o clienti che mi hanno voluto sostenere in questo momento difficile. Ne va anche della mia immagine imprenditoriale. Sono certo che il 99 per cento della gente di Taranto non vuole tutto questo, ma i problemi sono sul tavolo ed esistono e si ripetono con costante regolarità. Basta (lo ripete tre volte) Permettetemi questo sfogo. La mia indole mi spinge a reagire d'istinto alle situazioni. E avrei potuto farlo anche domenica sera. Quando mi fermo a pensare, avverto un forte disagio morale. E sto male. Fare violenza è facile, costruire è difficile. I campionati si vincono senza violenza. Non riesco nemmeno a pensare cosa sarebbe successo se fossimo ora penultimi in classifica. Purtroppo devo rilevare la mancanza di una cultura calcistica. Mi rivedo in alcuni miei colleghi presidenti di società, che vanno in giro per l'Italia, senza un'adeguata protezione. A Cava c'è un solo vigile urbano in tribuna, forse perchè nei pressi c'era il sindaco... E' impossibile fare calcio in questa maniera. Ricevendo le telefonate di mio figlio che si preoccupa solo perchè non mi vede in televisione...».
Tale impossibilità è corroborata da alcuni argomenti forti. Blasi prende spunto dal caotico pomeriggio del “Simonetta Lamberti” per iniziare il suo affondo a largo raggio. Chiama in causa la Lega e anche il Ministero degli Interni. «Bisogna cambiare le regole del gioco. Io credo che la Lega non aiuti le società, ma al contrario le penalizzi. Non si possono pagare multe solo perchè si è un sodalizio ricco o sano. Non è un calcio credibile quello che non spende un minuto di silenzio per il dirigente calabrese morto in circostanze incredibili. Io penso anche che il Ministero degli Interni non operi a tutela dello sport e del calcio. Non si può rischiare di fermare un incontro per una decisione di una sola persona. Il questore o il vice-questore, domenica, decideva autonomamente, non celando anche la sua appartenenza sportiva. Ho sentito che alla radio incitava a “caricare” le persone che non avevano il biglietto. L'ho sentito chiaramente e pazienza se finisco in Tribunale. La legge è chiara e dice che se la gente non ha il biglietto, bisogna rimandarla indietro. Non è possibile vedere cinque pullman di persone senza biglietto, pronte a sfondare le porte. Se sono stati venduti 350 tagliandi e ne partono 500 a qualcuno dovrebbe venire il sospetto. La partita l'hanno persa i tifosi».
Il mirino focalizza la questione della maglia verde. Blasi ribadisce che il Taranto è sceso in campo con la terza casacca ufficiale e che tale decisione è stata anche avvalorata dall'arbitro. «E' assurdo. Questa storia della maglia è fuori da ogni logica. Io ho visto la Juventus giocare sabato: aveva una casacca rossa, ma nessuno ha detto nulla. La cosa che mi dispiace è che non è colpa esclusivamente dei soliti cento. In curva c'erano laureati, avvocati, farmacisti che hanno creato scompiglio. Ho visto De Liguori essere preso a schiaffi. E' incredibile, soprattutto nei confronti di un giocatore che non manca mai sotto l'aspetto dell'impegno. Tutto questo non appartiene al mio modo di intendere il calcio e offende la parte migliore di questa tifoseria e di questa città».
Decisione irrevocabile. La porta, però, resta socchiusa. «Se ci sono possibilità per cambiare idea? Solo la non violenza, può farmi tornare indietro. Ma è molto difficile. Sono deciso. Fino al 30 giugno gestisco l'ordinario, ma questo non vuole dire che se si dovesse presentare qualcuno, non possa cedere la proprietà prima di quella data». Anche se la paventata ipotesi di cessione, cozza con la successiva dichiarazione. «Ho degli impegni morali ed economici. Per questo dico che ci saranno anche due colpi di mercato. Arriveranno due giocatori, perchè sono abituato ad onorare la parola data. (i nomi potrebbe essere comunicati già nella giornata di oggi. L'attaccante Mattioli appare certo, visto che la Salernitana è pronta a riconsegnare il calciatore al Lecce, ma anche i centrocampisti Monticciolo e Cazzola sono nominativi fondati ndc) Se tutto questo fosse accaduto al primo di gennaio, certamente non li avrei presi. Una mia firma, non è una firma qualunque. La mia parola vale più di qualsiasi documento. Ripeto, se ci sarà violenza, riporto subito la squadra in C2».
Blasi e Taranto. Due strade che, forse, si sono incrociate al momento sbagliato. Questo si intuisce dalle amare parole dell'imprenditore manduriano. «Forse sono arrivato a fare il presidente del Taranto nel momento sbagliato. In un periodo negativo della città sia politico che finanziario. Non conosciamo quali sono i nostri interlocutori. Il problema stadio ci ha condizionato in tutti questi mesi. Sapete che non ci sono, per esempio, agenti per effettuare il controllo di guardia? Non possiamo chiamare una squadra di operai ogni settimana per saldare porte o cancelli, sempre per il bene del Taranto. Purtroppo sono sempre più convinto che solo chi soffre da lontano, vuole bene davvero a questa squadra. Forse una “rivolta” della Taranto sana e sportiva potrebbe far cambiare il mio atteggiamento. Ma deve essere un obiettivo comune, che dobbiamo sentire tutti. Il Taranto vincerà il campionato solo con la non violenza. Solo la parte pulita di questa città può spingere in B la squadra, non certamente Blasi. Pensavo di cambiare un certo modo di fare calcio, mi sono sbagliato. E' anche la sconfitta di una città. Al dissesto, non solo al livello economico, ma anche al livello culturale e morale. Se il calcio è l'unico aspetto positivo della città, allora c'è da preoccuparsi».
Il finale è una discesa ripida. I propositi si fanno certezze. Duri e, per ora, senza appello. «Se ci sarà violenza, vendo la squadra. Ma in C2, altro che B. Lascerò e mi auguro che sia un tarantino, come quelli che in Tribunale il 14 dicembre 2004 non c'erano».
Il Taranto si chiude in se stesso. Si isola. L'ultima sferzata rimanda alla legge del contrappasso. In doppia diretta televisiva, Blasi annuncia il silenzio stampa totale. Nessuno potrà rilasciare dichiarazione, pena l'immediato abbandono del capezzale rossoblu. «Il Taranto non esiste» è l'ultimo grido livido che squarcia una sala stampa dello Iacovone pesante e attonita. di Luigi Carrieri30 gennaio 2007

Blasi lascia. Il Taranto è in vendita
Decisione irrevocabile. «Ha vinto il tifo violento»

«Vado via. Mi dimetto. Sono stanco, deluso ed amareggiato per quanto è avvenuto a Cava dei Tirreni. Da questo momento la squadra è in silenzio-stampa fino a giugno». Dalle ore 15,48 di ieri pomeriggio Luigi Blasi non è più il presidente del Taranto. L’annuncio-choc è stato dato dall’imprenditore manduriano nella sala-stampa dello "Iacovone". «Non dovete sorprendervi. Fa parte del mio essere. Non sopporto la violenza. Non l’ho mai subìta. Se ben ricordate, fin da quando assunsi la presidenza del Taranto, fui chiaro: chiesi ai supporters rossoblù di incitare a gran voce e con molto entusiasmo la squadra, ma aggiunsi pure che avrei adottato tolleranza zero contro gli episodi deprecabili. È esattamente quello che farò dalla prossima partita in poi». Blasi parla come un fiume in piena. Non ha digerito gli insulti e le parole “pesanti” incassate inaspettatamente allorché si è recato verso la curva in cui erano sistemati i tifosi tarantini a Cava per convicerli dal desistere dalle aspre e feroci contestazioni riguardanti la maglia biancoverde indossata da Deflorio e compagni. «Non è il colore della maglia a certificare se il cuore e l’attaccamemnto sono doc. Ma sono gli atti concreti ed importanti quali gli investimenti economici e l’attenzione nel gestire la società a garantire l’"amore" del presidente verso la maglia rossoblù. Quando quelle squallide scene sono state viste dalla mia famiglia, sia mia moglie che mio figlio mi hanno immediatamente contattato preoccupati per la salute. Ma chi te lo fa fare a rischiare l’incolumità? Mi hanno chiesto quasi all’unisono. E che dire dello schiaffo dato a De Liguori? Spero che qualche tv lo faccia vedere». Ma il presidente Blasi ha allargato il suo raggio di attenzione, rivolgendosi alle istituzioni cittadine. «Mi sento totalmente abbandonato. Forse sono capitato nel periodo sbagliato. Sono assenti gli interlocutori importanti». Non sono mancate le frecciate alla Lega: «Si limita soltanto a comminare multe, anche salate, per fatti di cui la società non solo non ha la minima colpa, quanto è la prima parte lesa. Queste leggi sono anacronistiche. Vanno riviste ed aggiornate. La responsabilità oggettiva andrebbe abolita». Il futuro è ammantato di tante nubi minacciose. Blasi, però, non scappa. Non lascia la squadra in balia del suo destino. «Fino al 30 giugno manterrò tutti gli impegni presi con il settore tecnico, compresi l’arrivo dei due acquisti che presenteremo a breve. Ma non illudetevi. D’ora in poi al primo segnale di violenza, non farò scendere la squadra in campo. Questo significa che se i deprecabili episodi dovessero ancora continuare, la squadra ritornerà nel campionato in cui l’ho presa. Mi spiace, ma è così». Ma cosa potrebbe far ritornare Blasi sulle proprie decisioni? «E' semplice - spiega - basterà che la parte violenta della tifoseria non frequenti più né lo Iacovone né altri stadi. Ma sinceramente ho fortissimi dubbi che ciò accada. Faccio un appello alla parte sana ai veri supporters: isoliamo i facinorosi». di Giuseppe Dimito30 gennaio 2007

«Taranto, addio»
L’emozione lo tradisce quando parla del figlio. Mirko lo ha chiamato sul cellulare, mentre Blasi era sotto la curva dei suoi tifosi. Stava tentando di calmarli, mentre dagli spalti piovevano insulti. Per quella maglia verde...

L’emozione lo tradisce quando parla del figlio. Mirko lo ha chiamato sul cellulare, mentre il presidente del Taranto Blasi era sotto la curva dei suoi tifosi. Stava tentando di calmarli, mentre dagli spalti piovevano insulti. Per quella maglia verde e bianca indossata al posto della casacca rossoblu. Una scelta obbligata, per il Taranto, visto che l’arbitro aveva deciso di scendere in campo con la tenuta rossa. Una questione cromatica che però ha dato la stura alle proteste che hanno idealmente ripreso i disordini avvenuti all’esterno dello stadio perchè alcuni tifosi ionici non avevano il biglietto oppure si erano presentati a Cava con il ticket falso. Quando il presidente della rinascita si è presentato sotto gli spalti per tentare di smorzare la reazione dei tifosi gli è piovuto addosso di tutti. Insulti che nelle sue parole sembrano aver avuto l’effetto di pugnalate al cuore. Insulti contro di lui, contro la sua famiglia. Poi ricorda la vibrazione del cellulare e lui che risponde. «Papà stai bene?» gli ha chiesto il bambino vedendo in televisione il padre che affrontava la folla di quelli che dovrebbero essere i suoi tifosi. E’ in quel momento che Blasi ha smesso di essere il presidente del Taranto. Non per le multe, tutte pagate puntualmente, o per le conseguenze della follia che ora si ripercuoteranno sulla squadra con prevedibili sanzioni disciplinari. Semplicemente perchè quando ha preso in mano il timone del veliero rossoblu aveva in mente delle priorità. Quelle che nelle sue parole diventano “i paletti” del progetto. Tra questi c’era la sconfitta dei violenti e la volontà di riportare allo stadio le famiglie. L’aspirazione che ieri pomeriggio si è frantumata sotto il settore ospiti dello stadio “Simonetta Lamberti” di Cava dei Tirreni. «E’ finita» spiaccica al telefono con la voce incrinata dall’emozione e dall’amarezza. E’ un Blasi diverso. Non è il solito guerriero. Il vulcano pronto ad esplodere contro il nemico del momento. Questa volta il presidente della rinascita è arrendevole e non vuole parlare. Lo farà alle 15, ma le sue intenzioni sono sin troppo chiare. «Questo non è il mio Taranto. La violenza, gli insulti le bestemmie e le minacce gratuite non possono appartenere a me ed alla tante gente onesta di questa sfortunata città. Ora è davvero finita. Mi hanno fatto male. E poi, quelle immagini le hanno viste in tutto il mondo, con un danno d’immagine incalcolabile». A rendere più dolorose le ferite nell’animo di Blasi un retroscena amaro: le parole avvelenate che hanno annichilito il presidente arrivato da Manduria non sono arrivate solo dagli scalmanati di professione, ma anche da presunti insospettabili che la domenica levano la maschera da dottor Jeckyll e si mostrano come mister Hyde. In conferenza stampa il presidente annuncerà un disimpegno definitivo ed irrevocabile. Anche Walter Scotti, componente del CdA, ha annunciato le sue dimissioni. Ad interrompere l’era Blasi ci ha pensato chi ieri, al Lamberti, ha fatto rivedere quanto già andato in onda in occasione della trasferta di Castellammare. Già allora il presidente aveva fatto sentire la sua voce, un “mai più” che avrebbe dovuto suonare come un monito alla sua tifoseria. Ma da quel 24 settembre sono passati quattro mesi, e già il film della violenza è stato ritrasmesso con come protagonisti, purtroppo, alcuni tarantini. Quegli stessi che, adesso, dovranno iniziare a pensare ad un futuro senza Blasi, che in quella che considerava la sua creatura adesso non si riconosce più. Verrà garantita la gestione ordinaria sino a fine stagione, ma l’avvenire del Taranto è un punto interrogativo. A far cambiare idea a Blasi potrebbe essere, forse, solo una cosa, una “scelta di campo” di tutta la tifoseria verso la non violenza. Ma questo, dalle nostre parti, sembra davvero difficile. di Giovanni Di Meo29 gennaio 2007

Stiamo perdendo la partita della civiltà

Diciamocelo: stiamo perdendo. Senza salvare nessuno, senza immaginarci immuni da macchie. Stiamo perdendo la partita della civiltà. Di tutte le partite la più importante. Tutti verso la sconfitta: non ci sono buoni e cattivi in questa brutta storia. Tutti complici, per ora: i cattivi avanzano se i buoni lo permettono. Se non ne ostacolano il cammino, se lasciano spazi da calpestare. Ovunque, anche nel calcio. Perché i violenti sono colonizzatori di terre di nessuno, di luoghi inesplorati. Dove non ci sono regole o ne è permessa la violazione: per timore o connivenza. Blasi si è arreso: stanco, deluso. Ha lasciato il Taranto: dimettendosi, promettendo innanzitutto a se stesso di non tornare indietro, riservandosi la gestione dell’ordinario, il rispetto degli impegni. La tristezza, però, è oltre le parole, gli acquisti possibili, il campionato che continuerà. E’ nell’aria irrespirabile, nella pesantezza dell’incedere, negli occhi lucidi. Nel brutto clima intorno, nella sensazione che tutto possa davvero finire. Ieri sembrava di udire, come sgradevole sottofondo, gli scricchiolii di un calcio prossimo a crollare. Pronto a travolgere tutti, lasciando per strada un mucchio di inutili detriti. Blasi, nel frattempo, parlava. Non è sembrato uno sfogo, non era una dichiarazione di rabbia destinata ad evaporare al primo sole. Tutto aveva un ragionamento alle spalle, una notte di cattivi pensieri. Nemmeno le pause aiutavano: permettevano di trattenere il respiro e le lacrime, ma infiltravano brutti flashback, spezzoni di vergogna. Un episodio, un altro. La ricostruzione di un pomeriggio con il pallone schiacciato in un angolo, oggetto superfluo e ostaggio della tensione. Responsabilità enormi, che Blasi ha allargato raccontando tutte le esagerazioni, sfiorando la Lega e le forze dell’ordine del posto. Ma niente accade (e niente sarebbe accaduto) senza una scintilla. Nulla (forse) sarebbe accaduto se non fosse arrivata gente senza biglietto, non ci fossero stati tentativi di sfondamento. E’ la causa, purtroppo. Senza di essa il processo sarebbe stato al contrario. Nessuno condanna per pregiudizio: a Melfi, l’anno scorso, non ci sono state parole contro i tifosi. Nemmeno contro chi reagì, nemmeno da Blasi. Non si giustificò la violenza, ma si condannò la provocazione e l’esagerato uso della forza. Se poi le parti si rovesciano la conclusione è chiara. E allora si vivono giorni come questi, con un enorme peso addosso. Il peso della sconfitta, della regressione morale. Il peso dell’abbandono. Il peso della libertà (di azione e di espressione) che improvvisamente sembra negata. Nessuno ha sognato questo calcio. Né Blasi né la Taranto sana. Nemmeno tanti di quelli che erano a Cava. Ma questo, adesso, è il calcio che ci spetta e che - il rischio esiste - forse non ci spetterà più. Calcio marcio a prescindere: dove lo scontro è premeditato (viaggiare con mazze nelle auto è un segno), dove un settore diventa per metà occupato da poliziotti e per metà da tifosi, dove un elicottero sorvola lo stadio e i lacrimogeni vengono sparati ad altezza d’uomo. Denunciarlo è un dovere, andare avanti non è un obbligo ma può ridiventare un piacere. Riprendendosi, però, i propri posti, riappropriandosi degli spazi giusti. Sottraendo potere ai violenti. Blasi ha scelto di arrivare al punto di discontinuità. Rompendo ad alta voce e a reti unificate. Chiarendo: non è più questa la strada, non è più possibile questa convivenza. E, in questo momento, serve scegliere. Serve il coraggio: di distanziarci tutti, di reagire. Stiamo perdendo, non fingiamo. E manca poco alla fine. Ma la partita si può riaprire. Possiamo riprenderci il calcio, possiamo rubare il pallone all’avversario e ripartire. Non è una chiamata alla guerra, ma una sfida di civiltà. Serve un impegno straordinario. Il pareggio non è utile. O si vince o si muore. di Fulvio Paglialunga30 gennaio 2007

Occorre coraggio, ma lo troveremo?
La battaglia finale con il tifo violento

Tutte le misure sono state colmate, comprese quelle della pubblica decenza e dell’umana sopportazione. Da ieri Luigi Blasi è l’ex presidente del Taranto. Non siamo ancora al collasso agonistico: saranno mantenuti gli impegni assunti con i tesserati sino al 30 giugno. Ma la storia è finita, esaurita, chiusa. Blasi molla il Taranto, annunciando che la società è in vendita. La decisione è presa. La procedura del distacco è partita. Non si fermerà. Conviene considerarlo un gesto serio, terribilmente serio. Non ci sono equivoci. Ciò che incombe, accadrà. Del resto, basta guardare gli occhi di Blasi per capire che non c’è spazio per il ripensamento. Occhi lucidi di rabbia, espressione provata, parole commosse. Blasi si arrende dopo i fatti incresciosi di Cava: la violenza idiota, gli insulti, lo schiaffo a De Liguori, la storia - risibile - della maglia. Getta la spugna, dichiarando la propria sconfitta. «Io ho perso», dice passando idealmente il pallone ai... posteri. A chi verrà dopo di lui. Se ci sarà un dopo. Perché il futuro che rischia di non esistere è ora la posta in palio. L’ultima partita è anche la più difficile. Si tratta di capire se quella che appare la sconfitta di tutti - non solo di Blasi - può trasformarsi in un’occasione. Dipende da noi. Dipende da chi ancora vive la passione per il calcio come il decorso, esclusivamente interiore, di una bellissima malattia. E non come l’esibizione tribale di pulsioni aggressive. Dipende da noi. Dipende dalla nostra capacità di compiere lo sforzo decisivo per uscire dall’ipocrisia dilagante e dal paternalismo da stadio. Non serve ripetere che gli ultras violenti - dunque, non tutti - non sono veri tifosi. Purtroppo non è così. Il calcio è fatto anche di questi tifosi. Sono parte integrante dello spettacolo. Bisogna prenderne atto e rafforzare il sistema immunitario di chi ha voglia di opporsi: con gesti concreti, con il buon esempio, con comportamenti coerenti. Accettando di misurarsi con le asprezze della realtà, che è spesso brutta, sporca e cattiva. Per farlo, però, bisogna abbandonare il carosello delle solite ovvietà. Basta con la retorica della curva, basta con la storia del dodicesimo uomo in campo, basta con l’esaltazione del tifo massificato e militarizzato. Certo, serve coraggio. Un coraggio nuovo. Il coraggio con il quale abbandonare ogni paura e denunciare con fermezza le ambiguità e le connivenze. Riprendiamoci il calcio. Torniamo al tifo di una volta, a quell’amore primigenio, sincero, innocente. Anche allora gli stadi erano luoghi rumorosi e tempestosi, ma soli in mezzo alla folla anonima si riusciva finanche a familiarizzare con chi ci stava accanto, senza timori, senza sospetti. O si recupera quel clima o si diventa tutti complici dei "curvaioli", della loro logica, dei loro codici, della loro incultura. di Lorenzo D'Alò30 gennaio 2007

Stadio Iacovone a rischio
Oggi arriverà la decisione del giudice sportivo per gli episodi di Cavese-Taranto. Si teme una lunga squalifica. Precisazione della Questura: «Partenza organizzata»

Adesso lo spauracchio si chiama Giudice Sportivo di serie C: cosa deciderà il dott. Pasquale Marino dopo gli incidenti di Cavese-Taranto? Mano pesante o occhio benevolo? Diciamolo subito: inutile farsi troppe illusioni. Il referto dell'arbitro Cavarretta di Trapani sarà decisivo per l'irrogazione della sanzione: e i colloqui informali intercorsi nel dopo-partita tra i dirigenti rossoblu e la giacchetta nera non legittimano previsioni ottimistiche.
Il Taranto, peraltro, è anche recidivo: nella stagione in corso lo “Iacovone” ha già subito una squalifica di due giornate (le partite con Manfredonia e Ternana sono state giocate a porte chiuse) per gli incidenti avvenuti tra tifosi ionici e forze dell'ordine nel corso della gara di Castellammare contro la Juve Stabia. Storia dello scorso 24 settembre. 
E' probabile, pertanto, attendersi una lunga squalifica (dalle tre alle sei giornate) del campo. Con l'aggravante, quasi certa, di dover giocare le gare in campo neutro. 
C'è anche una seconda ipotesi, accennata negli spogliatoi di Cava de' Tirreni dal direttore generale ionico Vittorio Galigani. All'interno del “Simonetta Lamberti”, in realtà, non ci sono stati incidenti: anche la ripetuta interruzione del match (per un totale di cinquanta minuti) è stata causata da “problemi” avvenuti al di fuori del terreno di gioco. La partita, inoltre, è ripresa ed è stata regolarmente condotta in porta dall'arbitro. Pertanto, non è impossibile (ma resta difficile) sperare in una forte multa che eviti ulteriori penalità.
Sul week-end violento del calcio italiano, iniziato sabato con la morte di un dirigente di una squadra dilettantistica calabrese, è intervenuto anche il Commissario Straordinario della Federcalcio, Luca Pancalli. Che non ha escluso l'ipotesi di bloccare i campionati di fronte ad altri gravi episodi di violenza. 
«Siamo ormai al livello di guardia - ha ammesso - : per difendere l’incolumità degli arbitri e l’immagine stessa del calcio, sono pronto a misure drastiche. Voglio augurarmi che con il contributo di tutti, dirigenti, tecnici e giocatori sul campo, ma anche i veri tifosi e gli appassionati di calcio sugli spalti, si possa ristabilire un clima di sportività e di rispetto che eviti il blocco dei campionati».
Non mancano le note di cronaca nera da associare al match di Cava: due giovani di Taranto sono stati denunciati dai Carabinieri che sulla loro auto hanno trovato, a Potenza, due mazze ferrate. I tifosi erano diretti a Cava de' Tirreni, per assistere alla partita del Taranto. I due giovani denunciati hanno entrambi precedenti penali: le mazze ferrate sono state sequestrate.
La Questura di Salerno ha già provveduto a trasmettere i filmati di quanto accaduto al “Lamberti” ai colleghi di Taranto: sono partite anche le indagini, condotte in collaborazione dalla Digos dei due capoluoghi.
Nella serata di ieri è arrivata anche una precisazione della Questura ionica: “Da Taranto - si legge - sono partite, in modo “organizzato”, circa duecento persone, a bordo di quattro pullman; tutti i tifosi sono stati opportunamente controllati e non hanno portato al seguito alcuno strumento atto ad offendere; nella circostanza, è stata consentita la partenza di 40 tifosi che non erano muniti di biglietto ma che si erano dichiarati intenzionati ad acquistarlo”. D’intesa con la
Questura di Salerno, inoltre, i bus “sono stati scortati sino a Cava dei Tirreni senza che nel tragitto si siano verificati incidenti; prima di fare ingresso nello stadio di Cava, anche i tifosi che non ne erano muniti hanno acquistato il biglietto”.30 gennaio 2007

Taranto, sconfitta totale
Incidenti tra i tifosi ionici (che contestano la maglia biancoverde della squadra) e la Polizia. La gara, sospesa per quasi un'ora, termina 2-0 per la Cavese. Iacovone a rischio squalifica

La morte della ragione. E di questo calcio, di certe partite, di spalti che puzzano di lacrimogeni. Di sospensioni, scontri, scelte illogiche, storia capovolta, decisioni discutibili. 
Cavese-Taranto non è una partita: è un cesto di frutta marcia, un cattivo odore che non risparmia nessuno. Che mortifica i vinti e non rovescia meriti sui vincitori. Pallone da una parte, saggezza dall'altra: tutti spiazzati da una partita che non c'è, che non si riesce a far esistere degnamente, che si riempie di un discutibile contorno e non trova la corretta gestione né all'inizio né alla fine. 
Il tabellino dice: ha vinto la Cavese. La partita, però, non va oltre i primi ventitre minuti, gli unici realmente giocati. Il resto è cronaca avariata, occhi che bruciano, rabbia che monta. Accade di tutto, paga il Taranto: che entra in verde, diventa rossoblu, finisce pallido per la paura o rosso di livore. Colori di un giorno con molto da raccontare e poco che valga la pena di essere raccontato. 
Un misto di esagerazioni: tensione che si insinua e gratuitamente degenera, nervi che saltano, oggetti che volano, sibili irragionevoli, scelte affrettate, caldeggiate, ritrattate.
Non c'erano ragioni per non temere Cavese-Taranto: la storia dice che c'è sempre violenza intorno. Non c'erano ragioni per schierare il Taranto in verde: la storia dice che i colori sono altri, anche in trasferta. La collisione tra i temi è una colossale scintilla, il fuoco divampa e c'è chi si scotta. Perché quanto accade condiziona la partita, quindi il risultato. E la classifica (il Taranto è ancora nei playoff, ma in bilico) o forse addirittura il resto del campionato (lo "Iacovone" rischia una nuova squalifica). 
Ma perché accade? Ricostruzione faticosa, forse sufficientemente aderente. Prima parte: il Taranto, in campo, ha una divisa biancoverde mai vista e nemmeno granché vedibile. Non assomiglia nemmeno a se stesso, non piace ai tifosi: ce ne sono almeno duecento, altri in arrivo. Contestano, non tifano. Gridano a difesa della tradizione, chiedono il cambio della casacca. Rifiutano i colori, negano la rappresentatività di chi gioca. 
In campo qualcosa scorre, comunque. Il Taranto d'assalto scelto da Papagni è 4-3-3 con, in più, Toledo a centrocampo. Larosa è nel terzetto di mediani, Panini a destra della difesa: idea che rende i rossoblu (o biancoverdi?) fotocopia della Cavese (4-3-3 con Schetter a centrocampo) e scava una sottile differenza che la qualità superiore del Taranto promette di allargare. Infatti, il gol pare vicino: timidamente con Toledo (11'), clamorosamente con Cammarata (17') che, servito dal brasiliano, ha il tempo per fare tutto quello che vuole e segnare, ma accelera e tira altissimo il sinistro in corsa. 
E' un'inutile premessa. Manca tutto il seguito. Ecco la seconda parte. Fuori qualcosa accade: le forze dell'ordine raccontano dell'arrivo di cinque pullman con duecentocinquanta tifosi rossoblu (e alcuni vetri rotti per una sassaiola all'altezza di Salerno), di problemi durante le perquisizioni. Vengono trovate bombe carta, spranghe, catene e altro, dicono. 
Scaramucce, prime cariche. C'è gente che non riesce ad entrare e gente che non riesce a uscire (alcuni tifosi cercano di andare via per non tifare "biancoverde"): disordine puro. In campo, dall'esterno, arrivano lacrimogeni: aria irrespirabile, tre minuti (è il 24') di sospensione. E inutile ripresa di una partita già finita: le forze dell'ordine caricano ancora, con maggiore energia e qualche eccesso (si vedono lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo). Entrano in curva, saltano i nervi, si spezza ogni logica. Sospensione, ancora: negli spogliatoi, per trentacinque minuti. Fatti di trattative del Taranto (parlano Blasi, Papagni, Deflorio e De Liguori) con i propri tifosi, di tensioni dentro il tunnel, di pressioni verso l'arbitro. 
Rientro: il Taranto mette insieme qualcosa di rossoblu (solo la maglia, i calzettoni restano verdi, i pantaloncini li presta la Cavese). Ma non si comincia: bomba carta dal settore dei tarantini verso la polizia. Interviene un responsabile del servizio: nuova sospensione, ordine del questore di Salerno. Pare definitiva: il Taranto crolla. 
E non si riprende più: perché dopo altri quindici minuti arriva l'ok del questore e si torna in campo. Ma rimane solo la Cavese, unica squadra rimasta tranquilla. I rossoblu, sconvolti dalla paura di perdere tutto a tavolino, consumati dalle tensioni e dalle contrattazioni, non recuperano le energie mentali. Segna la Cavese, due volte: su un discutibile rigore di De Giorgio (42', il fallo su Aquino comincia fuori area) e, nella ripresa, con Ercolano (6', colpo di testa su cross di Schetter da sinistra). 
Papagni prova a ridare forza al gruppo: cambia uomini (Zito e Cejas per Cammarata e Panini) e modulo (4-4-2). Ma il Taranto è sgonfio, non sa cosa fare. E' uscito dalla partita: la riempie solo di inciampi, scivoloni, impacci, errori banali, disattenzioni. Non ha senso lo sforzo. Fanno volume le due parate spettacolari di Barasso (su un colpo di testa di Ercolano e su una volèe di De Giorgio). Farà cronaca quello che succederà: i duecentocinquanta tifosi arrivati in pullman sono stati poi identificati sul posto, i feriti, lievi, sono due (un tifoso e un ispettore, medicati sul posto). Farà rumore, invece, quello che dirà Blasi. Ha convocato tutti per oggi. Chissà. Potrebbe arrendersi, dopo una notte di riflessioni. Perché tutto, adesso, sembra da buttare. di Fulvio Paglialunga29 gennaio 2007

Le pagelle di Fulvio Paglialunga

Fare le pagelle vuol dire esprimere un giudizio. Raccontare la partita di ognuno, indagare sugli adempimenti tattici e sulla prontezza tecnica dei giocatori. Per farlo serve una partita, non un coacervo di brutture. Non c’è stato calcio, a Cava. Quasi mai. E quei ventitrè minuti giocati sono troppo pochi per ricavare qualcosa di reale. Uno per uno andrebbe fatta la premessa psicologica: di una gara accennata per un po’ e poi coperta dal fumo dei lacrimogeni, appestata dall’aria irrespirabile. Drogata dalla botta psicologica, dalle energie spese per convincere l’arbitro a far riprendere la partita, per sfogarsi con la polizia (è avvenuto anche questo, in campo). E dalla paura non più vinta di aver già perso a tavolino. Il Taranto ha creduto che tutto fosse finito per volontà dell’arbitro e per ragioni di ordine pubblico. Ha pensato al peggio. Poi si è ritrovato in campo ma non ce l’ha fatta. Riempire le pagelle di parole non aiuta: sarebbe raccontare uno spezzone appena e descrivere ingenerosamente tutto il resto, come se fosse normale. Ma non è stato un pomeriggio normale: è stato marciume, dolore, stupore. Diciamolo: il Taranto non è giudicabile. Perché non è un’azione un lacrimogeno che vola, non è uno schema la violenza. E’ finito tutto male. Con troppi episodi negativi e troppe forze condizionanti. Troppe sconfitte sparse sugli spalti, nel tunnel, negli spogliatoi. Quando il calcio va così non è calcio. E, quindi, non si possono spendere frasi logiche. 29 gennaio 2007

Senza voto
Le pagelle di Lorenzo D'Alò

Niente pagelle, stavolta. Non avrebbero senso. Ogni giudizio sarebbe viziato da un pregiudizio, derivante da una partita che, da un certo punto in poi, prosegue solo per la Cavese. Per il Taranto non continua, non va avanti, non si sviluppa. Resta inchiodata alla seconda sospensione, quella che dura cinquanta minuti e che svuota la squadra, paralizzandola. Obblighi di tabellino ci costringono ad assegnare ad ogni giocatore un voto. Ci troverete tre sufficienze (Barasso, Colombini e De Liguori) e la mediocrità diffusa espressa da qualche 5,5 e molti 5. Ma non si tratta di giudizi di merito. Fanno un po’ riferimento ai primi venti minuti. Ma sono, essenzialmente, la fotografia aritmetica della grande paura e del totale smarrimento che coglie tutta la squadra: chi più, chi meno. Da qui la necessità di non procedere con le abituali pagelle. Sarebbero un esercizio inutile al culmine di un confronto pieno di anomalie. Disturbato dalle interruzioni. E contaminato dai mal di pancia di una tifoseria in rotta col buon senso.29 gennaio 2007

Taranto "tradito" dai tifosi
Partita sospesa per 50’: lancio di lacrimogeni e motivi di ordine pubblico. Quando riprende, rossoblù in tilt

Battuto dalla Cavese, stordito dai propri tifosi. A perdere tutto (la partita, il senso dell’orientamento, la tranquillità) è il Taranto, che cade e si fa male. A farlo capitolare sono i gol di De Giorgio (rigore) e di Ercolano. A farlo deragliare, scaricandolo psicologicamente, sino a ridulro ad un ammasso informe, è quello che accade in curva nord, il settore destinato ai sostenori rossoblù. E’ lì che la partita diventa frammento, perdendo unità di trama e d’intreccio. E’ lì che si consuma un altro pomeriggio di follie e assurdità, di tumulti e porcherie. Due sospensioni spaccano la partita, deturpandola irrimediabilmente. La prima è un livido sul racconto: dura tre minuti. Non influisce. La seconda è una cicatrice permanente: dura cinquanta minuti - un’eternità - e sfregia Cavese-Taranto, rendendola irriconoscibile. Commentare una partita così, priva di un filo logico, eternamente interrotta, è impossibile. Ammantarla di significati calcistici, facendo riferimento alla tecnica, alla tattica e alla strategia, è sconsigliabile. Non è in fondo ad una partita ostaggio delle tensioni sugli spalti che si può giudicare chi dovrebbe solo giocarla. E, invece, si ritrova costretto a fermarsi, riprendere il gioco, precipitarsi negli spogliatoi, cambiare la maglia, rientrare in campo. Passando da uno stato d’ansia ad uno stato di frustrazione. La partita vera dura poco. Ci sono la Cavese e il Taranto con i loro impianti speculari (4-3-3). C’è il tentativo, immediatamente visibile, della squadra di Papagni di prendersi il campo e la scena. C’è Panini a completare la difesa a quattro. Ci sono Larosa, De Liguori e Toledo a formare l’inedito terzetto di centrocampo. E poi c’è il tridente: di nome (Cammarata-Deflorio-Ambrosi) e di fatto (non sono particolari cautele in fase di non possesso). E c’è, soprattutto, il disagio della Cavese, che rischia grosso al 17’, quando Cammarata, servito da Toledo, sbaglia il più facile dei gol con l’esterno del piede sinistro. La partita vera finisce qui. Perché sta già accadendo qualcosa di anomalo in curva nord. I tifosi contestano l’improbabile tenuta verde (maglia e pantaloncini) con la quale il Taranto è sceso in campo. Rossoblù tradito, una specie di attentato ai colori della fede. C’è chi vuole abbandonare. In quel momento arrivano i cinque bus che trasportano gli ultrà. Sono in ritardo. Polizia e carabinieri, prima di farli entrare, procedono alla perquisizione. E, secondo la versione delle forze dell’ordine, trovano di tutto: spranghe, catene e bombe-carta. Cominciano gli scontri. Piovono lacrimogeni nello stadio. E’ il 23’. E scatta la prima sospensione. Si resta sul prato. Tre minuti di pausa e si riprende. Ma al 29’ parte una carica delle forze dell’ordine: parapiglia e altri lacrimogeni, alcuni sparati ad altezza d’uomo. Arbitro e giocatori si ritirano negli spogliatoi. Si teme la sospensione definitiva. Ma non è così. Papagni, Deflorio, De Liguori e Blasi vanno sotto la curva per calmare i tifosi. Ricevono l’ordine di cambiare la tenuta di gioco: quel verde pisello non li rappresenta. Le squadre tornano in campo. Il Taranto è ora in rossoblù (maglietta a maniche corte). La terna arbitrale lascia il completo rosso e si ripresenta in giallo. L’aggiornamento cromatico, però, non placa i tifosi. Esplode un petardo nelle vicinanze di un gruppo di poliziotti che ha nel frattempo abbandonato la curva. Un funzionario di polizia richiama l’attenzione dell’arbitro: si torna negli spogliatoi. Il Taranto resta in campo. Sembra finita. Poi il questore di Salerno, via telefono, dà l’ok perché la partita riprenda. Cavese-Taranto torna ad un’apparente normalità. C’è da giocare l’ultimo quarto d’ora del primo tempo (più recupero). Il Taranto, che ha temuto di perdere a tavolino, è ora un guscio vuoto, in balia delle sue paure. La Cavese ne approfitta, raccattando un rigore con Aquino. Il contatto con Panini comincia fuori area. La caduta dell’attaccante campano è dentro. Dal dischetto De Giorgio non perdona (42’). La ripresa è per il Taranto un inutile supplizio. Nulla ormai può farlo rientrare in partita. Il raddoppio di Ercolano, di testa, su cross dalla sinistra di Schetter, è una mazzata tremenda (6’). Entrano Cejas e Zito, escono Panini e Cammarata. Papagni ripristina il 4-4-2. Ma è tutto vano. Il Taranto non risponde più ai comandi. Barasso salva sull’incornata di Ercolano e sul tiro a volo di De Giorgio. Entra Catania (fuori Toledo). Finale impersonale. Ora si temono le conseguenze disciplinari. di Lorenzo D’Alò29 gennaio 2007

Domenica di rabbia
Il rammarico di Blasi: «Quello che è accaduto ci ha penalizzato. Tutto per una maglia, siamo fuori dal mondo». Oggi (ore 15 allo Iacovone) il presidente parlerà in conferenza stampa

Oggi Blasi parlerà. E lo farà in modo tuonante. In diretta televisiva (contemporanea emissione su Studio 100 e Bs Television) e con una conferenza stampa che sarà convocata alle 15 allo stadio Iacovone. Non si conosce l'oggetto delle sue parole. Si vocifera di possibili dimissioni, ma questa è anche la prevedibile reazione ad una simile giornata. In realtà potrebbero essere differenti i motivi di questa conferenza anche perchè Blasi ha mostrato nel dopo partita più amarezza che rabbia, facendo riferimento ad operazione di mercato che potrebbero avere un sensibile rallentamento. Una domenica di rabbia, resa ancora più surreale dalla chiusura di tutti gli autogrill sulla Basentana.
Al momento della prima interruzione del match, il presidente Blasi ha lasciato la tribuna autorità per raggiungere i propri sostenitori assiepati nel settore ospiti con l'intento di stemperare gli animi. «Innanzitutto ho invitato i tifosi a mantenere la calma - ha spiegato il massimo dirigente rossoblu, nel dopo gara - poi ho chiesto loro spiegazioni, e mi hanno risposto che si sono infuriati perché la squadra era scesa in campo con la casacca verde. Quella è la nostra terza maglia, ed è stato l'arbitro a decidere di farci giocare con quella maglia. Non so per quale motivo. So solo che i nostri tifosi, quando ci hanno visto con quella maglia, si sono infuriati. Ho chiesto ai tifosi di stare calmi e loro mi hanno risposto: “Noi stiamo calmi, ma voi dovete giocare in rossoblu”. Ma questo è preoccupante. Tutto quello che è accaduto non può non preoccupare. Lo abbiamo riferito all'arbitro che, difatti, alla ripresa delle ostilità per riportare la calma ci ha fatto mettere la casacca rossoblu». 
Sugli scontri con la polizia, Blasi ha una sua teoria: «Credo che, in alcuni casi, meno sta la polizia nel settore più facile sia la gestione dell'ordine pubblico. E non dico cosa è successo negli spogliatoi, tra un'interruzione e l'altra. Il problema arriva anche dall'alto: dipende da chi fa questi gironi, da chi mette contro squadre che non dovrebbero incontrarsi. Questo calcio non mi appartiene, non è possibile andare avanti così. Sono demotivato. Eventuale squalifica? Non me ne frega niente. Non riesco a pensarci».
Un episodio che accresce l'amarezza per la trasferta in Campania. «Quanto accaduto - ha continuato il presidente - ci ha penalizzato senza dubbio sul campo. Adesso spero che non ci penalizzi anche in sede di mercato, perché stiamo per chiudere importanti trattative, che vorrei non sfumassero a causa di questi episodi. Dobbiamo voltare pagina in tutti i sensi, non è stato un bel pomeriggio e ne siamo tutti enormemente rammaricati». Dal canto suo, l'allenatore Aldo Papagni aveva preparato questa partita nei minimi dettagli, invece, questa sorta di scheggia impazzita del destino ha di fatto rovinato i piani del tecnico dei pugliesi. Al termine del match, Papagni si è presentato in sala stampa visibilmente amareggiato. La sua è l'amarezza dell'uomo di calcio a cui si chiede di spiegare situazione che con il calcio hanno poco a che vedere. «Questi episodi - ha detto - fanno soltanto male al nostro sport. Si abusa spesso di questa frase, però è la verità». Papagni si sforza di parlare soltanto di quella che è stata la partita. «In verità - ha detto, quasi sospirando - fino a quando la giornata è stata normale, la mia squadra ha giocato a pallone in modo assolutamente godibile, mettendo in grande difficoltà la Cavese che, non dimentichiamoci, è una signora squadra che, soprattutto in casa, è abituata ad imporre il proprio gioco all'avversaria e si esprime di fatto a memoria, essendo un gruppo che si è cementato nel tempo. Il rammarico è proprio questo: stavamo facendo una grande partita e purtroppo dobbiamo stare qui a parlare di tutt'altro. La maglia? L'ho spiegato ai tifosi, lo ripeto: noi il rossoblu lo abbiamo nel cuore. Questo gruppo lo ha dimostrato sin dall'anno scorso. Ha mostrato di avere un'anima vincendo il campionato, lo ha dimostrato ancora superando le grosse difficoltà avute quest'anno, rinunciando a grosse offerte per giocare qui. Non è importante il colore che si indossa, ma quello che si porta sul cuore».
L'allenatore pensa a quei lunghi minuti di sospensione, che hanno cambiato il volto della gara: «Sembrava potessimo passare in vantaggio da un momento all'altro - ha continuato -, poi è chiaro che la lunga interruzione ha influito sul morale dei ragazzi. Il calcio è un gioco che si basa sulle emozioni, quando sono avvenuti questi episodi, la squadra si è scaricata a livello mentale. La Cavese poi è stata brava ad approfittare del nostro disagio, è diventato tutto maledettamente difficile e abbiamo perso la partita». Adesso Papagni dovrà essere bravo a far dimenticare alla svelta questa brutta giornata ai suoi ragazzi. «Personalmente - ha concluso il tecnico dei pugliesi - già sto pensando alla prossima partita di campionato. Tutto quello che è successo ci ha toccati profondamente ma abbiamo il dovere di guardare oltre. Dobbiamo voltare pagina, subito. Sono certo che i ragazzi in settimana lavoreranno meglio del solito, sono persone molto intelligenti e preparati. Purtroppo, per il prossimo impegno di campionato ci mancheranno Cosenza e Caccavale che saranno squalificati, il che significa che aggiungiamo emergenza all'emergenza. Pazienza, ormai abbiamo imparato a convivere con queste difficoltà e non ci spaventano».29 gennaio 2007

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