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Arrestato Ermanno Pieroni
Clamorosa decisione della Procura di Ancona eseguita ieri pomeriggio dalla GdF nell'abitazione di Ascoli Piceno

Sconcerto, paura e dubbi. E adesso cosa succederà al Taranto? Ermanno Pieroni è stato arrestato. Il maggiore azionista della società rossoblu, attuale presidente dimissionario dell'Ancona è stato prelevato da un nutrito stuolo di agenti della Guardia di Finanza del capoluogo dorico dall'hotel ''Casale'' di Colli del Tronto, vicino Ascoli Piceno (dove Pieroni risiede abitualmente) e trasferito al supercarcere di Molino del Tronto.
LA CRONACA DELL'ARRESTO - Il provvedimento è scattato dopo l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Ancona, Sergio Cutrona, su richiesta del pubblico ministero Irene Bilotta. L'accusa è di truffa aggravata ai danni dello Stato: secondo gli inquirenti esistono gravi indizi di colpevolezza, rischio di inquinamento delle prove e pericolo di reiterazione del reato.
L'impianto accusatorio ruota su un giro di svariati miliardi di vecchie lire: i contributi federali per i vari campionati, sarebbero stati sottratti alle casse della società. Anche l'assegnazione dei fondi federali sarebbe stata illegittima, viziata dall'irregolarità dei bilanci dell’Ancona Calcio: per la dottoressa Bilotta erano artefatti, falsi, tali da non consentire, addirittura, l’iscrizione al campionato di serie B. Con il massimo azionista del club di viale Virgilio sono finite in carcere anche altre due persone: Giovanni Rossini, membro del Consiglio d’Amministrazione, e l'avvocato Gianni De Vita, ex amministratore delegato dell'Ancona e, per un brevissimo periodo, anche del Taranto.
I PRIMI PASSI DELL'INCHIESTA - La Guardia di Finanza del capoluogo dorico si stava occupando da tempo del triangolo “Ancona-Taranto-Pieroni”: la gravità degli addebiti mossi contro il dirigente è venuta alla luce il 6 dicembre scorso, con l'iscrizione di Ermanno Pieroni nel registro degli indagati per falso in bilancio finalizzato alla truffa aggravata. L'indagine del pm Bilotta è partita dall'analisi della difficile situazione finanziaria dell'Ancona, e dal sospetto che il valore di alcuni calciatori biancorossi fosse stato ipervalutato per ripianare voci di bilancio e ottenere i contributi della Federcalcio. 
Due giorni prima, giovedì 4 dicembre del 2003, gli agenti della Gdf avevano sequestrato documenti nella sede dell'Ancona, nell'abitazione di Pieroni, negli uffici marketing della società, nello studio del commercialista Carlo Mastri a Jesi, in quello dell'ex amministratore biancorosso Gianni De Vita e nella sede del Taranto, con l'obiettivo di ricomporre tutte le tessere della gestione del club marchigiano dal 1999 al 2003. 
Tra gli intenti annunciati dal pubblico ministero nell'occasione, anche quello di fare luce sulla situazione dei calciatori: con il dubbio persistente che l'Ancona facesse ricorso al sistema del “doppio contratto”: il primo da esibire alla Figc, il secondo redatto “in nero”. Vari i tronconi dell'indagine: tra l'altro l'inchiesta sulle gestioni dell'Ancona successive all'era Longarini era già approdata ad un processo per appropriazione indebita e false fatturazioni: in quel caso Pieroni figurava quale parte civile. 
PIERONI E L'ANCONA - L'avventura del “patron” alla guida della società dorica inizia nel luglio 2000, dopo la vittoria nello spareggio di Perugia contro l’Ascoli e l’ascesa in serie B. Pieroni lascia la direzione sportiva del Perugia dell'amico Gaucci e si ristabilisce nelle Marche. Nel 2003 l'Ancona coglie la promozione in A: ma l'annata nel massimo campionato è foriera solo di record negativi. L'Ancona retrocede nuovamente in B: e attira l'attenzione della Procura di Ancona. L' inchiesta è costellata da perquisizioni, sequestri di documenti, indagini bancarie.
La crisi societaria dei dorici esplode in estate: per iscriversi alla B la squadra marchigiana procede ad una ricapitalizzazione sontuosa, dall'importo totale di diciotto milioni di euro: collaborano due nuovi soci, Corona e Anellucci: ma l'operazione viene bocciata da Covisoc, Coavisoc e Consiglio Federale, l'Ancona viene escluso da tutti i campionati. Ed è di due giorni fa la richiesta del PM al Tribunale Civile di Ancona di far fallire d’ufficio la società, oberata da un buco economico di oltre 40 milioni di euro. 
UNA GIORNATA NERA - Il nome di Pieroni era stato già coinvolto nell'arco della mattinata in un'altra indagine giudiziaria. Il dirigente è stato, infatti, iscritto sul registro degli indagati per calunnia, per le accuse formulate nei confronti del calciatore Massimiliano Giacobbo, indicato come responsabile di una “combine” per favorire la vittoria del Chievo nel match con l'Ancona. Ma il difensore è risultato estraneo alla vicenda. 
Il nome di Pieroni è tornato alla ribalta anche nel piccolo stadio di Moie di Maiolati, paesino nella Vallesina tra Jesi e Fabriano, dove l'Ancona si apprestava a giocare un triangolare amichevole con due formazioni dilettantistiche. Il mini torneo è stato interrotto. Un centinaio di tifosi dorici ha occupato il terreno di gioco protestando contro l'eventuale ritorno di Pieroni alla guida della società.
I TEMPI DELLA GIUSTIZIA - Dopo l'arresto, i tempi dell'inchiesta saranno ora scanditi dalla procedura penale. Entro 48 ore è previsto il primo interrogatorio di garanzia davanti al Gip (probabilmente domattina), e successivamente il colloquio con il pubblico ministero. E nella giornata di martedì la posizione di Pieroni potrebbe aggravarsi ulteriormente: il Tribunale di Ancona potrebbe decretare il fallimento della società dorica. Il giudice delegato Edy Ragaglia venerdì mattina aveva fatto intendere che ogni decisione sarebbe stata presa dopo il verdetto della Commissione di Conciliazione del Coni sul ricorso dell’Ancona, in discussione lunedì pomeriggio.
LE CONSEGUENZE PER IL TARANTO - E adesso che succede? E la domanda principale che si pongono i tifosi in queste ore. L'arresto di Pieroni può avere conseguenze sulla vita societaria del Taranto? Le prime risposte sono tranquillizzanti, anche se, ovviamente, la preoccupazione alberga nello staff legale del Taranto. A parlare per tutti è l'avvocato Alfredo Lovelli: «Per le notizie in nostro possesso - spiega - la posizione del Taranto calcio è assolutamente estranea ai fatti. Non ci dovrebbero essere ripercussioni relative all'inchiesta, visto che nell'accusa si fa riferimento a contributi erogati a favore dell'Ancona e non del Taranto. Di sicuro sarà garantita la continuità societaria e agonistica. E' vero, però, che finora le risorse finanziarie della società sono state assicurate da una persona sola: Ermanno Pieroni. Adesso, necessariamente, qualcosa di nuovo dovrà accadere».
I POSSIBILI SCENARI - L'arresto di Ermanno Pieroni complica anche le eventuali trattative per il passaggio di quote societarie o addirittura del pacchetto di maggioranza del sodalizio di Viale Virgilio. Negli ultimi giorni, in particolare, era stato accostato nuovamente al Taranto il nome di Luigi Blasi, l'ex presidente del Manduria che aveva aperto una trattativa ufficiale con Ermanno Pieroni. Blasi, in un momento così delicato, esprime soprattutto parole di sincera tristezza. «Sono davvero dispiaciuto - sottolinea - per quanto è accaduto. Sono vicino umanamente ad Ermanno Pieroni. Il Taranto? Continio ad essere interessato alle sorti della squadra: ma non so se e in quale modo potrò essere coinvolto. Ci sono molte cose da capire: vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni»,
A SORPRESA LA CAMERA DI CONCILIAZIONE - Sarebbe stata la notizia della giornata: sparisce di fronte alle novità di cronaca. Domani mattina, alle 10.30, il Taranto affronterà il giudizio della Camera di Conciliazione del Coni, a seguito del ricorso presentato dalla Pro Vasto (anche contro Figc e Lega di serie C) contro l'iscrizione in C2 della compagine ionica. Del Collegio Arbitrale faranno parte il presidente Salvatore Cirignotta e gli avvocati Guido Cecinelli e Mario Antonio Scino. La società ionica è stata avvisata della convocazione dell'udienza soltanto ieri mattina. La parola torna all'avvocato Lovelli: «Non sappiamo davvero - dichiara - per quale strano motivo ci è stata notificata la convocazione così in ritardo. In ogni caso, domani (oggi, ndc) prepareremo la memoria difensiva che sarà presentata in udienza dal presidente Vincenzo Stanzione».
I problemi non mancano. E da oggi bisognerà riflettere sul futuro. Tutti insieme. di Leo Spalluto

«La città si riprenda la squadra»
Le reazioni in città, tra politici ed ex titolari della società rossoblu. Tutti auspicano una inversione di tendenza

Reazioni diverse. Pur sempre reazioni a caldo. La notizia dell'arresto di Ermanno Pieroni fa il giro della città nel volgere di qualche minuto. 
Portavoce ufficiale, il telefonino. Di sportivi, politici e giornalisti. 
In tanti si scambiano il messaggio. La notizia raggiunge anche gli ombrelloni. 
C'è chi chiama in redazione, per chiedere conferme. 
Il presidente della Provincia, Gianni Florido, è tra i primi ad esprimersi. Apprende la notizia da noi. Resta stupito. 
«Mi dispiace tantissimo. Una notizia inaspettata. Mi dispiace sul piano umano, perchè in momenti così difficili bisogna sempre avere rispetto per le persone coinvolte. Ma non posso non essere allarmato per il Taranto - ci ha detto il presidente della Provincia - sembrava che le cose stessero andando per il meglio: l'iscrizione prima, la speranza di essere ripescati in C1. Ecco un'altra tegola. Bisognerà capire appieno cosa comporterà, che riflessi avrà sulla società. Spero che Pieroni possa uscirne presto, dimostrando la sua innocenza. Ma il pensiero non può che andare al Taranto... ed al suo futuro». 
Anche Michele Tucci apprende la notizia dal “Corriere”.
«Salvaguardando l'aspetto umano, che resta centrale per chiunque venga sottoposto ad un provvedimento di tale gravità - ci ha spiegato il parlamentare e vicesindaco di Taranto - preoccupano le probabili ricadute negative sulla società, proprio nel momento in cui si sta tentando il ripescaggio in C1. Penso alla città: la squadra di calcio è uno dei suoi simboli. Questo non può che spingerci a riappropriarci completamente di quei colori, tenendo alta l'attenzione rispetto a coloro che dovranno gestire la squadra in futuro. Parlo da cittadino, da tifoso e da uomo delle istituzioni. È ora di tornare al calcio di un tempo, a prescindere da questa vicenda giudiziaria. Lavoriamo perchè la città possa esprimere il meglio di sè, ponendo in risalto le sue espressioni imprenditoriali. Vorrei però chiarire un aspetto: per me restano ben distinti ruolo istituzionale ed incarico gestionale di un sodalizio sportivo - chiude Tucci - perchè le istituzioni devono creare condizioni favorevoli, mediare, contribuire, ma restando sempre fuori dalla società. Noi possiamo sostenere un progetto, non farne parte. Ma adesso pensiamo al futuro della squadra». 
Massimo Ostillio è parlamentare e tifoso rossoblu. Da alcune settimane è anche assessore provinciale allo Sport ed agli Spettacoli.
«Sono e resto un garantista. Ma se in futuro verrà dimostrato che la vicenda è reale, avremo il dovere di produrre riflessioni, lontane dalla demagogia, sul rapporto tra città e calcio - sostiene il deputato - e credo che questo rapporto abbia risentito della volontà di qualcuno di accaparrarsi il consenso. Se i contorni della vicenda fossero realmente quelli che apprendiamo oggi (ieri, ndr) mi verrebbe da dire anche a Taranto: chi sa, parli! Se le cose fossero veramente così, come adesso sembrano ad Ancona, non sarebbe forse il caso di interrogarsi su cosa sia eventualmente avvenuto a Taranto? E se c'è qualcuno eventualmente che sa, spero che parli. Ricostruiamo tutto su basi di capacità gestionale. La nostra compagine ha bisogno di iniezioni di fiducia, che invece quest'ultima vicenda sembra ulteriormente ledere. Ricordo - chiude Ostillio - folle plaudenti quando Pieroni andò in Consiglio comunale. Credo sia giunto il momento di collaborazioni non finalizzate a ridare una speranza agli sportivi tarantini e alla squadra».
Gino Bitetti rappresenta il calcio che in città ha sofferto per altre vicende (una per tutte, lo stadio negato al Taranto 1906 negli anni '90). Anche lui non si sottrae al commento. «Ho sempre detto che questo tipo di calcio non mi piace. Non entro ovviamente nel merito della vicenda giudiziaria. Del resto, negli ultimi anni non sono stato direttamente interessato. Ma ho sentito troppi commenti sulla presunta inesistenza di imprenditori tarantini in grado di rilevare la squadra. Io dico, invece, che di fronte a situazioni che vengono prospettate o non prospettate, bene fa chiunque a mantenersi sempre lontano. Chi fa calcio a Taranto, C1 o C2 che sia, deve essere supportato dalla logica legata agli introiti. Si può anche essere imprenditori di manica larga, è vero. Ma i soldi si possono perdere per uno, due, tre anni. Poi basta! Ritengo sia giunto il momento di pensare ad un calcio diverso. Meno fittizio, più concreto. Un calcio che sia meno virtuale. La città può rimboccarsi le maniche. Bisogna adesso attendere le decisioni della Reseco, quelle dello stesso di Pieroni. Bisogna verificare le intenzioni e le valutazioni reali della società. Credo che una C2 non valga più di un milione e duecentomila euro. Bisognerà gestire e programmare nel tempo. Ma in questo calcio si deve essere così intelligenti da contare fino a dieci... prima di decidere ogni cosa». di Angelo Di Leo

Il Taranto e Pieroni
Un rapporto difficile vissuto tra alti e bassi. Ripercorriamo le stagioni vissute dal dirigente marchigiano nel club rossoblu, prima da ds e poi da proprietario

Quanta acqua è passata sotto i ponti da quella primavera del 1989? Tanta davvero, nel lento fluire delle cose che si trasforma in cronaca, prima, e poi in storia. Ermanno Pieroni arriva a Taranto in un momento di passaggio, di cambiamenti imminenti: sostituisce Vittorio Galigani, partito con destinazione Pescara. La squadra presieduta da Vito Fasano e allenata da Fernando Veneranda naviga in cattive acque: l'arrivo in panchina di Roberto Clagluna non serve ad evitare la retrocessione in C1. Ma il Taranto è una sorta di “ascensore” tra i cadetti e la terza serie: la cosa non spaventa più di tanto. E' il Taranto di Lerda e Dell'Anno: inizio di campionato bruciante, conclusione avvilente. Un ciclo, ormai, si è concluso: per Fasano arriva il momento di gettare la spugna, si apre la seconda era-Carelli. E Pieroni e Clagluna vengono confermati per dare vita ad un nuovo progetto tecnico, per costruire la formazione in grado di tornare subito in serie B. E così è: arrivano Evangelisti, Brunetti, Sasso, Raggi, Insanguine, Coppola. Roselli, D'Ignazio e Picci c'erano già. E' un Taranto che dà spettacolo, conquistando record e vittorie. E la promozione quasi come una naturale conseguenza. L'anno dopo giungono Nicoletti in panchina, Zannoni, Clementi e Turrini in campo: un Taranto fortissimo e sfortunato, sempre ad un passo dalla gloria, sempre confinato a metà classifica. Ermanno Pieroni saluta tutti a metà stagione: lo attende un lungo sodalizio con Gaucci, i successi di Perugia, l'acquisizione dell'Ancona, a due passi da casa.
Ma le strade di Pieroni e del Taranto si incroceranno di nuovo: il destino bussa alla porta nell'estate del 2000. L'Arsenaltaranto fallisce per un punto la promozione in C2: salta l'armonia dei soci, qualcuno ripensa a Pieroni, legato affettivamente alla città per motivi familiari, E Pieroni torna, con un carico di entusiasmo inarrestabile: l'accordo è raggiunto, a lui la maggioranza, a Giove, Palma e Tagarelli il 40% delle quote. Il passaggio avviene il 29 giugno, la denominazione del club si trosforma in Taranto Calcio. E dopo nenache un mese, il 28 luglio 2000,è già tempo di festeggiare: il club ionico viene ripescato in C2 al posto del Saronno, una intera città torna ad ubriacarsi della passione per il calcio.
Pieroni cambia subito direzione: Buso è in ritiro a Norcia con una squadra costruita per vincere i Dilettanti, in poche giorni l'organico viene completamente rivoluzionato. E' l'anno di Spagnulo, Bertuccelli, Monza: e soprattutto di Christian Riganò, l'astro che illuminerà lo Iacovone prima di spiccare il volo verso la serie A. Il Taranto illude e subito delude: è necessario un cambio di rotta, Pieroni mostra subito interventismo e capacità decisionale. Chiama Silva alla guida, tessera Sesia e Siroti: e la squadra cambia subito marcia, recupera undici punti di svantaggio nei confronti del Campobasso, conquista la promozione diretta con una giornata di anticipo. Per l'ultima giornata, allo Iacovone c'è il Catanzaro: lo spettacolo è da brivido, trentamila tifosi sugli spalti. Finalmente, dopo tanti anni di tribolazioni, qualcuno comincia a sognare. Anche se, sottotraccia, nascono le prime crepe tra Pieroni e gli altri soci. 
La nuova stagione nasce nel segno del “nuovo calcio”: Pieroni affida la squadra al pirotecnico Capuano. Rose e fiori all'inizio, ma il tecnico campano viene esonerato in un amen: tocca ad un suo conterraneo, Gianni Simonelli, lasciare una impronta indelebile. L'Ascoli è primo per tutta la stagione, alle spalle i rossoblu ingaggiano un duello all'arma bianca con il Catania. La squadra combatte con ardore e arriva ai playoff: ma in società la crisi è scoppiata con virulenza. E tecnico e giocatori avvertono l'aria cattiva: si arriva alla finale del 9 giugno 2002. E' la data che ha cambiato la storia recente del calcio tarantino: al Taranto serve un gol per andare in B. Non lo segnerà mai: la squadra sembra svuotata, a fine gara ci sono solo lacrime. Pieroni ha lasciato lo stadio al nono minuto: è la cesura definitiva nel rapporto con la tifoseria.
Arrivano due anni nerissimi, punteggiati da insuccessi e polemiche roventi. Accade di tutto. Nella prima stagione viene allestita una squadra ricca di lacune (affidata a Stefano Di Chiara): alla fine del girone d'andata i rossoblu sembrano spacciati. La correzione arriva ancora una volta in corsa. Fabio Brini in panchina e Cappioli sul terreno verde salvano la baracca: ma le amarezze superano le gioie, si parla più che altro di carenze societarie e stipendi non pagati. Cambiano anche i presidenti, in un balletto tra Giove, Uzzi e Stanzione.
E poi l'annata appena conclusa: quella della retrocessione, degli scioperi dei calciatori, delle perquisizioni in sede, delle manifestazioni della tifoseria, del valzer pazzo degli allenatori, con Brini, Barone, Dellisanti e Bianchetti pronti a cercare inutilmente il bandolo della matassa. 
Pieroni segue a distanza gli eventi: a fine anno ammette gli errori compiuti. Il Taranto è sull'orlo della radiazione, ma il “patron”, a tempo quasi scaduto, ricapitalizza la società e la salva dall'Eccellenza. Si riparte con un programma nuovo, di giovani e di costi ribassati: Petrachi è il responsabile area tecnica, Toma e Luperto sono i nuovi nocchieri. In agguato, però, c'è la magistratura: con un arresto che, probabilmente, chiude un'epoca. di Leo Spalluto

Taranto, altri guai
Stanzione: «Noi non c'entriamo nulla». L'arresto del patron tiene banco a Trevi

La quiete di Trevi è rotta dalla «saetta» giudiziaria scagliata dalla procura di Ancona. «Avremmo dovuto incontrare il patron domani - oggi per chi legge ndr - ad Ascoli per un incontro operativo. Avremmo dovuto parlare di mercato. Pieroni mi sembrava tranquillo ed ora giunge questa notizia, alla quale stento a credere e che mi addolora sotto il profilo umano» dice il presidente del Taranto, Enzo Stanzione. Il dirigente rossoblù, ieri pomeriggio seguiva gli allenamenti della squadra del tandem Toma-Luperto, quando è giunta la notizia da Ancona. «Mi auguro che il Taranto non centri nulla con l'inchiesta. Sarebbe una nota stonata, visto che proprio grazie a Pieroni il Taranto si era iscritto alla C2, cercando di aprire poi un nuovo capitolo, attraverso la vendita del pacchetto di maggioranza. Questa è una voce che corre da tempo, ma di concreto non c'è nulla». 
Dopo l'allenamento nel ritiro di Trevi, è spettato al presidente Stanzione e al diggì Telegrafo mettere al corrente la squadra circa la cattiva novità. «Ma il Taranto deve andare avanti. La società s'impegnerà per garantire la serenità ai giocatori» promette Telegrafo. Lo spettacolo va avanti, in mezzo alle incertezze. di Alessandro Salvatore

La "parabola" del patron
Blasi: «Mi dispiace molto, mi auguro che Pieroni dimostri la sua innocenza»

L'ultima volta che Pieroni ha messo (ufficialmente) piede a Taranto, è stata nel novembre del 2002. In un locale cittadino, il patron marchigiano incontrò la tifoseria, rassicurandola sul futuro del pallone rossoblù, che s'era leggermente «sgonfiato» dopo il mancato approdo alla serie B. A negare l'accesso alla seconda serie fu il Catania, nella nefasta finale del 9 novembre 2002. Allora, in piena partita, davanti ad uno Iacovone popolato da 30mila anime, il maggiore azionista del Taranto (che l'anno prima aveva costruito una squadra in grado di riabbracciare la C1 dopo il calvario dei Dilettanti) lasciò lo stadio tarantino ancora «bollente». Probabilmente da allora cominciò a curvarsi verso il basso la «parabola» del patron, più volte invocato da giocatori, allenatori, istituzioni e soprattutto tifosi. A parte quel blitz (improvviso e non pubblicizzato) del 2002, Pieroni non ha mai tenuto in città, incontri ufficiali nel nome del Taranto. 
Da ieri Pieroni è sotto la lente d'ingrandimento della procura anconetana, che lo accusa di truffa aggravata. «Non spetta a noi giudicare, ma agli organi preposti. Sin quando non ci sarà una sentenza, nessuno è legittimato a fare speculazioni. Rimane una notizia sorprendente, che mi colpisce sotto il profilo umano. Mi auguro, però, che il Taranto non sia estraneo a questa ennesima inchiesta che ha colpito il calcio». Il presidente del Taranto Enzo Stanzione, presente nel ritiro di ieri, è stato preso in contropiede dalla notizia dell'arresto di Pieroni. Come lui, l'intero staff tecnico che da lunedì lavora nel centro polisportivo del perugino. «Avremmo dovuto incontrare domani ad Ascoli - oggi per chi legge ndr con gli altri dirigenti - rivela Stanzione - il patron, per stendere un bilancio del mercato. Era stata fissata una delle canoniche riunioni operative di quest'ultimo periodo, nella quale avremmo sicuramente parlato anche della possibilità di cessione del pacchetto di maggioranza a chi, secondo le voci che ultimamente stanno correndo, sarebbe interessato a rilevare il Taranto». Molti, da tempo, invocano l'ingresso del 43enne imprenditore manduriano (oltre alla costruzione e vendita di macchinari agricoli, e la vitivinicoltura, è innamorato del calcio) Luigi Blasi nella società di viale Virgilio. Il diretto interessato si dice «lusingato dalle attenzioni della piazza jonica, che merita uno scenario calcistico decoroso. Quando e se prenderò in mano il Taranto? Tempo fa ho incaricato i miei legali di studiare la contabilità del club rossoblù, avviando una trattativa con Pieroni. Ci sono stati degli incontri, poi ad un certo punto l'opera diplomatica ha subìto una frenata. Ultimamente ho avuto modo di risentire il patron, al quale ho manifestato il mio desiderio di acquistare il Taranto. Ma perché la trattativa vada in porto, è necessario che ci sia chiarezza». La notizia dell'arresto ha addolorato anche Blasi. «Mi dispiace molto, mi auguro che Pieroni dimostri la sua innocenza». Ma il Taranto deve andare avanti: «Stando a quanto appare dalle accuse della procura marchigiana - dice Blasi -, la truffa aggravata imputata a Pieroni non avrebbe nulla a che fare col Taranto. Dunque al momento l'ideale sarebbe accelerare l'azione che miri a costruire una grande società. Ma le grandi società, come le grandi imprese, vanno costruite su basi solide». L'inchiesta che ha colpito l'Ancona, non fa stare però tranquilla la piazza tarantina. Ieri la tifoseria, attraverso i gruppi organizzati Taranto Supporters e Tifo è Amicizia, ha diramato una nota stampa, nella quale, in seguito all'arresto di Pieroni (attualmente maggior azionista del Taranto attraverso la fiduciaria Reseco), invocano «le istituzioni a farsi da intermediarie per dare continuità alla società jonica, creando le basi per un'alternativa. L'invito - continua la nota - assume carattere d'urgenza, onde evitare la scomparsa del calcio rossoblù, all'indomani di una sofferta ammissione al campionato professionistico e alla vigilia del Consiglio federale del 12 agosto». 
I tifosi sperano in una svolta, invocata da tempo. di Alessandro Salvatore

“Ancona saccheggiata da Pieroni”
Trovata la traccia di soldi trasferiti verso banche di Lugano e Monaco. Colloqui vietati per il rischio di pressioni sui giocatori che aspettano di essere pagati. Il gip: “Gestiva la società come fosse un suo patrimonio personale”. Truffe al Coni e acquisti di giocatori “fantasma” per creare fondi occulti all’estero

Chissà se con Garcia Troisi all’ala e Ardit Beqiri di punta l’Ancona Calcio sarebbe ancora in serie A, anziché dimenarsi agonizzante davanti alla prospettiva dei campionati d’Eccellenza. Peccato che né Menichini, né Sonetti, né Galeone - i tre mister che si sono avvicendati in panchina nella scorsa tormentata stagione - abbiano mai potuto schierare in campo né il centrocampista uruguaiano né l’attaccante albanese, perché entrambi facevano troppo comodo al presidente, che secondo la procura li usava come “fantocci” per crearsi fondi all’estero, tra la Svizzera e Montecarlo, simulando pagamenti mai avvenuti. Quando la Finanza perquisì la sede di via Maratta, il 4 dicembre scorso, dei contratti di Troisi e Bequiri non c’era traccia, mentre quei nomi comparivano nei bilanci dell’Ancona Calcio, al capitolo “crediti verso altri - cauzioni”, dove confluivano i saldi dei conti accesi ai giocatori stranieri. Uno strano maneggio che “fa ritenere fittizia - scrive il gip nell’ordinanza d’arresto di Pieroni e soci - la compravendita con le società calcistiche straniere”. Così l’ex patron Ermanno Pieroni e i suoi presunti complici avrebbero saccheggiato le già disastrate finanze dell’Ancona Calcio, sviando dai bilanci ufficiali otto milioni e 133 mila euro, tra somme girate sui conti correnti personali del presidente, fondi neri creati sfornando pacchi di fatture fasulle, ordini di pagamento all’estero per acquisti di giocatori fantasma, falsi prestiti e cessioni a titolo gratuito di calciatori.
L’ANCONA, ROBA DI PIERONI - Dalle 41 pagine del provvedimento cautelare firmato dal giudice preliminare Sergio Cutrona esce demolita la figura dell’ex presidente arrestato sabato scorso nella sua dimora estiva all’Hotel Casale di Colli del Tronto. Tratteggiando la personalità di Pieroni, per come risulta dall’indagine condotta dal pm Irene Bilotta, il gip sottolinea che “le truffe perpetrate nei confronti del Coni e della Figc non avevano eventualmente il nobile scopo di salvare comunque la propria società calcistica, bensì di creare la disponibilità economica affinché il Pieroni stesso potesse prelevare denaro a piene mani dalla società stessa, anche e soprattutto per propria esclusiva utilità personale”. Le distrazioni di fondi attribuite a Pieroni, emerse dopo un’indagine accuratissima della Guardia di finanza, “appaiono talmente variegate e numerose - scrive il giudice -, da fornire l’impressione che il Pieroni gestisse la società e quindi i fondi pubblici erogati ogni anno come se il patrimonio della stessa fosse del tutto personale”.
FONDI FEDERALI E PARADISI FISCALI - La procura ritiene che Pieroni, insieme al commercialista De Vita e al bancario Rossini, abbia truffato il Coni e la Federcalcio, camuffando con mille trucchi un bilancio da profondo rosso per rispettare almeno all’apparenza il coefficiente d’equilibrio (non meno di “3” nel rapporto tra ricavi e indebitamento) fissato dalla Covisoc per l’iscrizione al campionato. Senza fare carte false, secondo la procura, l’Ancona di Pieroni sarebbe già da tre anni fuori gioco e per questo si contesta una truffa da 9 milioni e 662 mila euro, pari all’importo dei contributi ottenuti dal club biancorosso dalla stagione 2001/2002 fino all’ultima rovinosa apparizione in serie A. Buona parte di quei contributi, ritenuti pubblici dal pm e dal gip in quanto alimentati anche dai proventi di Totocalcio e Totogol, sarebbero stati dirottati dai conti dell’Ancona Calcio e finiti anche all’estero. Forse in qualche banca tra il principato di Monaco e la Confederazione elvetica, come fanno sospettare alcuni elementi descritti nell’ordinanza. Ad esempio il ritrovamento, in casa del direttore finanziario della società (che però nell’ordinanza non risulta indagato) di un biglietto da visita intestato a Miriam Regnicoli, funzionaria della Bsi International Private Banking con sede nel principato di Monaco. E soprattutto l’ordine di pagamento di mezzo milione di euro, datato 25 novembre 2002 e firmato da Pieroni, diretto alla Bsi Sa di Lugano e da lì a un’altra banca monegasca, con addebito sul famoso conto corrente aperto dall’Ancona Calcio nella filiale di Castelferretti della Bcc di Falconara, diretta da Rossini. Beneficiario di quell’ordine di pagamento è una sconosciuto club di Tirana, a cui Pieroni destina la somma come “rata contratto trasferimento giocatore Ardit Bequiri”.
LE RISERVE OCCULTE DEL PATRON - Anche il gip, come la procura, sente puzza d’imbroglio. “Le movimentazioni sopra riportate, estrapolate dal suddetto conto corrente societario - scrive in proposito il dottor Cutrona -, sono state artatamente ideate al fine di realizzare riserve occulte a favore del Pieroni sotto forma di presunti pagamenti in contanti alle società di calcio straniere, alimentando dunque la predetta voce di bilancio cauzioni”. D’altra parte sembravano molto perplessi di quell’operazione, parlando al telefono del bilancio 2002/2003, intercettati dalla Finanza, anche il ragionier Gianfranco Cusini, direttore amministrativo dell’Ancona Calcio, e il commercialista Carlo Mastri, che teneva la contabilità dell’Ancona. Ma evidentemente non erano loro a decidere su quei rapporti con l’estero, che per il gip Cutrona destano molti sospetti. “Appare inverosimile, che la società Ancona Calcio - si legge nell’ordinanza - potesse permettersi di pagare ingenti somme di denaro in contanti al solo scopo di opzionare o addirittura acquistare calciatori stranieri pressochè sconosciuti che non sono mai arrivati nei campionati di calcio italiani”.
I DUBBI DEL DS TOMEI - Nell’ordinanza si riportano anche le dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza da Pietro Tomei, diesse biancorosso tra il 2001 e il 2003: “Ho collaborato con il Pieroni alla gestione ed all’acquisto dei calciatori, e per quanto riguarda Ardit Beqiri, Filipovic B.Milan, Torodovic V.Zoran e Garcia Troisi escludo, per quanto è a mia conoscenza, che gli stessi abbiano giocato con l’Ancona Calcio e comunque non sono a conoscenza di eventuali opzioni da parte della società Ancona Calcio”.
L’ACQUISTO DEL TARANTO E LA XL TRADE DI ZAGABRIA - Un altro paravento, secondo il gip, venne creato da Pieroni simulando rapporti con la XL Trade di Zagabria, una società di consulenza in calcio-mercato a cui l’Ancona Calcio aveva affidato la supervisione di giovani talenti nell’ex Jugoslavia, in Turchia, Bulgaria e Grecia. Nel 2000 Pieroni, con l’aiuto di De Vita e Rossini, se ne servì per acquistare il 60% delle quote del Taranto calcio, utilizzando 529.000 euro di contributi federali destinati alle casse della società. Un tourbillon di falsi documenti contabili e firme illeggibili avrebbe dato corpo a rapporti fittizi tra il club biancorosso e la “'XL Trade”, della cui preziosa collaborazione l’Ancona si servì per opzionare “fenomeni” del calcio come Emir Bimorac, Ivika Blatanar e Daliber Silic. In tre, da quel che si sa, non hanno neanche battuto un corner al Del Conero.
LE FATTURE FALSE PER STADIO E FORESTERIA - La riserva di fondi neri di Pieroni e soci, secondo la procura, era alimentata con un giro vorticoso di fatture false. Antonio Nastasia, titolare della Sogeim di San Giorgio Ionico, ammette alla Finanza che le tredici fatture emesse nei confronti dell’Ancona Calcio (per quasi tre milioni e mezzo) riguardano operazioni inesistenti, perchè le sue ruspe non hanno mai messo ruota all’interno del Del Conero o nella cittadella sportiva con foresteria progettata a Montemarciano.
L’ULTIMO BLUFF DELLA RICAPITALIZZAZIONE - L’atto finale della gestione Pieroni, quello che ora gli costa il carcere, è la ricapitalizzazione tentata in extremis tra giugno e luglio per evitare il tracollo. Per il gip Cutrona c’è il sospetto che si sia trattato di “una pura bolla di sapone”, visto che il credito Iva da 12,4 milioni portato dal socio Diego Corona vale carta straccia e anche i versamenti di Pieroni, serviti a pagare i calciatori, sono alla stregua di uno spregiudicato gioco delle tre carte, l’ultimo bluff tentato per ingannare gli organi di controllo della Federcalcio. Gli assegni circolari per 412 mila euro emessi il 9 luglio nella filiale diretta da Rossini, intestati ai giocatori Salvatore Bruno e Eusebio Di Francesco, tre giorni dopo sono “riversati” dall’amministratore D’Ambrosio sullo stesso conto corrente dell’Ancona Calcio nella Bcc di Falconara. Bruno e Di Francesco, sentiti dalla Finanza, dicono di non aver mai visto quegli assegni e secondo il giudice c’è il forte sospetto che lo stesso giochetto sia stato tentato con altri versamenti destinati a pagare mezza rosa biancorossa, da Hubner a Maini, da Beretta a Giacobbo, da Simoni a Andersson, Carrus, Daino, Helguera e Milanese.
IL “PRESSING” SUI CALCIATORI - Per questo nell’ordinanza di custodia cautelare il gip vieta per cinque giorni agli arrestati qualsiasi contatto con l’esterno, rinviando anche il colloquio con i difensori. “Con un telefono cellulare - spiega il giudice parlando degli indagati - potrebbero raggiungere i giocatori che ancora sono creditori della società a convincerli a mentire dietro promessa di pagare loro una parte dei crediti, piuttosto che accontentarsi di una mera insinuazione nel fallimento”. di Lorenzo Sconocchini

«Ci racconti di quei milioni spariti a Zagabria»
La Guardia di Finanza è risalita ad una società con sede a Zagabria, la "Xl Trade" che si occuperebbe di intermediazioni nel campo sportivo

«Signor Pieroni, ci racconti del suo amore per la Croazia». Sarà questa, probabilmente, una delle domande chiave che l’ex patron si sentirà rivolgere questa mattina nel carcere di Montacuto durante l’interrogatorio di garanzia, mentre a Palazzo di giustizia si riunirà il Tribunale fallimentare chiamato a deliberare il crack dell’Ancona calcio. Non perchè il gip Moscaroli (sostituirà il collega Cutrona, che ha firmato l’ordine di custodia cautelare, da oggi in ferie) sia interessato alle preferenze turistiche dello spodestato condottiero biancorosso, ma perchè la Croazia è un grande punto interrogativo sugli spostamenti di danaro, negli ultimi anni, del club di via Maratta. 
E’ quanto trapela dalla "segretissima" ordinanza di custodia cautelare consegnata ieri agli avvocati degli arrestati (oltre a Pieroni, l’amministratore delegato Vincenzo D’Ambrosio, il predecessore Gianni De Vita ed il direttore della filiale di Castelferretti della Banca di credito cooperativo di Falconara Giovanni Rossini) con l’impegno a non divulgarne il contenuto. Un documento di circa 40 pagine, con cui il Pm Irene Bilotta ha chiesto e ottenuto le misure restrittive al gip ipotizzando la pericolosità sociale degli indagati, il pericolo di inquinamento delle prove e quello di fuga. 
Torniamo alla Croazia. Indagando a tappeto sui movimenti finanziari dell’Ancona, gli agenti della Guardia di Finanza sono risaliti ad una società con sede a Zagabria. Si chiama "Xl Trade" e, a quanto sembra, si occuperebbe di intermediazioni nel campo sportivo. Pieroni avrebbe dirottato verso la "Xl Trade" fior di quattrini come compensi per consulenze legate all’ingaggio e al trasferimento di giocatori (tali Ardit e Bangicovic), nonchè l’acquisto di una quota (529mila euro) del Taranto calcio. Le Fiamme Gialle ipotizzano che i soldi non siano rimasti sull’altra sponda dell’Adriatico, ma siano rientrati almeno parzialmente in nero nelle tasche dello stesso Pieroni. 
Altro pilastro dell’ordinanza è uno degli interrogatori di Luca Rigone, il broker anconetano che consentì a Pieroni di stipulare la fidejussione da 8 milioni con la "Intercontinentale" a garanzia della rateizzazione del debito Irpeg con lo Stato. Indagato a Roma con De Vita per le polizze che consentitono le iscrizioni al campionato a Roma, Napoli, Cosenza e Spal, Rigone è il principale test d’accusa del Pm Bilotta. Già parecchi mesi fa, dopo aver rivelato al magistrato presunte irregolarità finanziarie nella gestione dell’Ancona, "profetizzò" il tracollo di Pieroni. Ne seguì una violenta polemica col patron, con scambi di querele. Se Pieroni bollò il broker come personaggio di secondo piano, "un professionista regolarmente pagato e piccolo sponsor", che non poteva essere assolutamente a conoscenza delle strategie di via Maratta, si scopre ora che la Procura la pensa in maniera diametralmente opposta. Tanto da riportare nell’ordinanza di custodia cautelare un passo del verbale di Rigone in cui accenna ad una confidenza di Pieroni: l’intenzione di un patron in vena di grandezza di convocare una conferenza stampa con il viceministro Mario Baldassarri per magnificare le imprese della Dorica. Conferenza stampa che poi non c’è mai stata. 
Il resto verrà messo a punto nell’interrogatorio di questa mattina. Pieroni sarà difeso dall’avvocato Salvatore Taverna, che lo ha assistito a partire dalle convulse fasi della ricapitalizzazione, insieme all’avvocato Mario Scaloni (incerto però se conservare il mandato). Ricordiamo che quello di oggi è un interrogatorio puramente tecnico, basato sui capi di imputazione: il gip non potrà entrare nel merito delle accuse (compito che spetterà al Pm) e dovrà limitarsi a verificare se esistono le condizioni per confermare la misura cautelare in carcere, attenuarla negli arresti domiciliari o rimettere l’indagato in libertà 
Anche sui reati contestati a Pieroni c’è finalmente maggiore chiarezza. La Procura aveva chiesto gli arresti per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato, all’appropriazione indebita e alle false comunicazioni sociali. L’ufficio del Gip ha concesso gli arresti solo per truffa aggravata, ma il reato più grave (quello associativo) resta comunque in vigore. Solo che per questo capo di imputazione si procederà a piede libero. 
La posizione di Pieroni potrebbe aggravarsi ulteriormente con il fallimento societario, che sembra ormai scontato. Alla luce dei presunti ammanchi per 9 milioni, dopo la sentenza del Tribunale la Procura potrebbe contestare al patron anche la bancarotta fraudolenta. di Giovanni Sgardi

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