Un'altra pagina amara
Che sia almeno la svolta
Quando si scrive del Taranto, il rischio è di ripetere ogni volta gli stessi concetti. D'altra porte è da più di un anno, dallo sciagurato ritiro dell'estate 2002 in Austria (che provocò le dimissioni di Simonelli, bravo a capire in anticipo come sarebbero andate a finire le cose) che si lanciano continui quanto inascoltati allarmi. La situazione ormai è nota: c'è l'azionista di maggioranza, Ermanno Pieroni - che è anche proprietario dell'Ancona - che ha il merito di aver riportato in C1 i rossoblu ma che da mesi non si fa vedere in città e che ogni tanto si dice pronto a cedere la sua parte per poi tornare alla carica proponendo di appropriarsi dell'intera società; c'è un gruppo di minoranza che non riesce a trovare una strategia comune e vincente, c'è una città infine incapace in questi ultimi anni di proporre un'idea, un imprenditore illuminato, che possa mettere d'accordo tutti. In mezzo, una tifoseria ormai depressa e sempre più compatta nel disertare lo stadio, mentre la squadra viene costruita da due anni a campionato iniziato, senza una strategia precisa, inseguendo rinforzi non sempre motivatissimi, con risultati fin troppo eloquenti: anonimo nono posto nella stagione scorsa, partenza disastrosa quest'anno, con tre sconfitte in casa di fila e due punti in classifica che valgono l'ultimo posto.
A questo punto il rischio è che quanto avvenuto ieri sia solo l'ennesimo capitolo amaro di una storia già molto brutta. La speranza, non sappiamo se fondata, è che sia invece un punto di svolta, che serva magari a spingere i protagonisti rossoblu oppure, chissà, la stessa città - il sindaco?, il prefetto? - ad intervenire per fare chiarezza una volta per tutte. Se Pieroni tiene davvero a questa società, la ricostruisca sul serio, oppure si faccia da parte. Perché il Taranto - che solo quindici mesi fa aveva sfiorato la promozione in B - sta precipitando, e risalire rischia di diventare a questo punto un'impresa proibitiva.
Taranto, questo è un ultimatum
Una giornata convulsa in casa rossoblu: prima il rifiuto di partire per il ritiro poi l'annuncio del capitano. Passiatore: «Se oggi non riceveremo garanzie smetteremo di allenarci e non giocheremo con la Samb».
Gli ammutinati del Taranto hanno dato l'ultimatum che non è solo un volgare - ma assolutamente legittimo - battere cassa. Per dirla alla Passiatore, il capitano che ieri ha parlato a nome di tutta la squadra, se entro stamane i giocatori non riceveranno precise garanzie non solo smetteranno di allenarsi, ma domenica prossima si rifiuteranno di scendere in campo a San Benedetto del Tronto. «E non stiamo scherzando, porteremo avanti la nostra protesta fino in fondo». Le precise garanzie si riassumono in un paio di richieste chiarissime: la nomina immediata da parte della società di un referente che dialoghi con la squadra e che faccia da collettore tra lo spogliatoio e la proprietà, il pagamento a breve scadenza di uno stipendio. «Ma i soldi - è sbottato Passiatore - rispetto al primo problema costituiscono una questione irrilevante. L'aspetto più triste di questo storia è che siamo completamente abbandonati a noi stessi, che non ci viene messa a disposizione nemmeno una persona alla quale rapportarci quotidianamente e che rappresenti in qualche modo la società». Un po' il ruolo che ricopriva nella passata stagione l'ex direttore sportivo Luciano Tarantino, frettolosamente accantonato a fine agosto per divergenze con l'azionista di maggioranza Ermanno Pieroni.
Proprio il patron, informato per l'intera giornata di ieri dal presidente Vincenzo Stanzione sulla levata di scudi dei rossoblu, ma pure impegnato ad Ancona a presentazione del nuovo allenatore Nedo Sonetti, avrebbe accolto con irritazione le notizie gocciolate da Taranto. Lasciando intendere, per interposta persona, di essere pronto ad adottare provvedimenti "punitivi" nei riguardi dei calciatori. Però la realtà è che dinanzi al primo provvedimento abbracciato dal club di viale Virgilio, mandare la squadra in ritiro a Porto San Giorgio a seguito della sconfitta nel derby con il Martina, i giocatori ieri mattina hanno puntato i piedi.
Pur giungendo regolarmente all'adunata fissata per le 8,30 nel piazzale antistante gli spogliatoi dello Iacovone, Passiatore e compagni si sono rifiutati di salire sul pullman che avrebbe dovuto condurli nelle Marche. Con Triuzzi che al clamoroso gesto ha allegato una spiegazione inequivocabile: «Adesso basta - ha rimarcato il fantasista - siamo stanchi. Non siamo più nelle condizioni di sopportare tanto disinteresse. Tutti sanno che stiamo per partire per il ritino e nessun dirigente si presenta, vi pare possibile? E poi la società aveva promesso di pagarci gli siipendi, ma al momento non abbiamo visto un euro. Il nostro, comunque, non è un ammutinamento. Non saliamo in ritiro, ma nel pomeriggio ci alleneremo normalmente allo Iacovone».
Ricevuta comunicazione della mancata partenza, è stato Brini a salire in macchina ed a percorrere il tragitto inverso per capire esattamente cosa stesse accadendo. Lungo è stato il colloquio tra il tecnico ed i giocatori, cominciato alle 15,10 e durato oltre un'ora, prima che la preparazione riprendesse normalmente e Passiatore riferisse di un ultimatum che è la cartina di tornasole di una situazione incancrenita. Uno status quo che si protrae da oltre un anno e che, anche sul mercato, produce riflessi negativi. Non è un caso che Federico Bettoni, 28enne centrocampísta svincolatosi nello scorso giugno dal Cesena, continui a tentennare di fronte all'insistente corteggiamento della dirigenza jonica. Era lui l'uomo scelto per innervare un pacchetto mediano a corto di metodisti e ordinati facitori di manovra. Di questo passo, tuttavia, non sarà facile persuadere Bettoni ad accettare il trasferimento. E accontentare, conseguentemente, Brini.
«Non si può andare avanti così»
Clamorosa decisione dei giocatori: niente ritiro. Stipendi non pagati e dirigenti assenti:
Taranto, la squadra si ribella Ultimatum alla società: «Risolvete i nostri problemi o sarà sciopero»
In questa brutta storia noi stiamo con la squadra, che ieri ha bocciato il ritiro, deciso dall'allenatore. Ed è rimasta ad allenarsi in sede, cominciando regolarmente la settimana lavorativa. Quella che dovrebbe condurre all'insidiosa trasferta di San Benedetto. Siamo dalla parte della squadra perché comprendiamo le motivazioni del rifiuto. La squadra ha fatto questo ragionamento: «Siamo ultimi e soli. L'organico è largamente incompleto. La società non paga gli stipendi. Non abbiamo referenti credibili ai quali rivolgerci in caso di necessità. Il futuro è un'incognita. I tifosi stanno mostrando massima sensibilità e illimitato attaccamento. Non ci hanno mai contestato, neanche dopo la sconfitta nel derby. A chi giova questo ritiro?». Il ragionamento è condivisibile. La decisione di andare in ritiro, evidentemente, no. Chi l'ha presa ha trascurato la reazione della squadra. L'ha anzi indotta ad ammutinarsi, quasi costringendola a mettere in piazza malumori e insoddisfazioni, che comunque stavano covando sotto la cenere delle partite perse e delle promesse non mantenute. La conclusione è stata un po' penosa: la squadra si è rifiutata di salire sul pullman, constatando fra l'altro che a bordo non c'era alcun dirigente; il preparatore dei portieri Petrelli ha avvisato Brini; l'allenatore si è sentito con Briganti; Brini e il team manager hanno inutilmente tentato di convincere i giocatori, decidendo così di far ritorno a Taranto. Fine della storia, che nasce brutta e può solo peggiorare.
«Io dico che ognuno deve assumersi le proprie responsabilità», ammette Sergio Briganti, il team manager. «Rispettiamo la volontà della squadra. Chi lavora, dev'essere pagato. Questo è sacrosanto. Ma l'idea di andare in ritiro nasceva da altre esigenze. Non volevamo scappare da Taranto. Non ce n'era ragione. Con i tifosi il rapporto è sano, malgrado il rendimento deficitario. I tifosi hanno capito il momento. Lo stano vivendo insieme a noi. Il ritiro sarebbe servito ad altro: a cementare il gruppo, a concentrarsi più massicciamente sulla necessità di evitare certi errori, a ritrovare quella tranquillità interiore che adesso manca. L'obiettivo era questo. Non era una punizione».
Passiatore in tv ha denunciato con fermezza l'assenza della società. La mancanza assoluta di referenti. Siamo soli, ha detto...
«Ciccio ha parlato da capitano. Ha detto cose importanti. Non penso, però, ce l'avesse con qualcuno in particolare. Ha detto semplicemente che servirebbe una proprietà maggiormente presente. Mi sembra una richiesta legittima».
La posizione di Brini rischia di uscire indebolita da questa vicenda.
«È un rischio che non esiste. La squadra è col mister. E Brini lavora per il bene della squadra. Il settore tecnico, del quale io faccio parte, è solidale e compatto. Troveremo la forza per andare avanti».
Questa storia dell'ammutinamento e, soprattutto, le sue fondate motivazioni, avranno un'eco che potrebbe avere dei riflessi negativi sul mercato?
«Non credo. Il Taranto è in ritardo di tre mensilità. Settembre è appena maturato. La situazione non è pesante. È anzi comune a molte società. Il mercato non subirà contraccolpi. Almeno, lo spero».
È sempre convinto che a Taranto, in queste condizioni, si possa fare calcio?
«Così non va. E non c'è bisogno che sia io a dirlo. Non ci sono spazi di manovra per nessuno. Sto pensando seriamente di dimettermi. Che ci sto a fare ancora qui?».
A chiederselo, per la verità, non è il solo. A fine allenamento Passiatore è tornato sul senso della protesta, lanciando una sorta di ultimatum alla società. «Se entro oggi non sarà nominato un dirigente con poteri esecutivi, che abbia cioè la possibilità di risolvere i nostri problemi, dai più piccoli ai più grandi, la squadra smetterà di allenarsi e non giocherà a San Benedetto. Siamo stanchi di aspettare. Stavolta non scherziamo». Brini ha ribadito che lui è con la squadra. «C'è disorganizzazione. Sta accadendo quello che ho sempre temuto accadesse. Ma non è il momento di dividersi». Brini, però, continua ad avere fiducia nella proprietà, ovvero in Pieroni. «Io so che la situazione dovrebbe cambiare, da un momento all'altro». Sarà vero?
La crisi ad una svolta
Ieri non è stato un giorno inutile per la crisi del calcio rossoblù. La squadra ha trovato la forza morale per dire basta: ad una società assente e ad una situazione assurda. Ha trovato il coraggio di ufficializzare un disagio reale. Quello di chi non percepisce lo stipendio da tre mesi e, da sempre, vive uno stato di precarietà permanente. Ha bocciato l'idea del ritiro, facendo precipitosamente rientrare dalle Marche l'allenatore Brini. Ha, di fatto, delegittimato il presidente e il team manager, reclamando la nomina di un dirigente con poteri decisionali. Che sia in grado, cioè, di provvedere ai loro bisogni più elementari. E, al culmine di una giornata campale, ha lanciato l'ultimatum: chiarezza subito oppure sciopero a partire da oggi. Sciopero significa niente allenamenti e niente trasferta di San Benedetto.
La squadra ha così dato una spallata decisa alla crisi. L'ha fatta rotolare giù dal piedistallo dell'inconcludenza dove s'era costruita la tana, sfruttando l'inerzia dei contendenti. Le ha inferto un colpo durissimo, distruggendo gli ultimi alibi e annientando le residue ambiguità. La squadra ha parlato. E ha scelto da che parte stare. Sta dalla parte della normalità e di chiunque sarà capace di riportarla a Taranto. Restituendo dignità ad una piazza prima sedotta, poi tradita ed infine abbandonata. La squadra ha capito che non c'è più tempo da perdere. Che siamo pericolosamente vicini all'ora del collasso. Non è più questione di Pieroni o dei quattro soci di minoranza. Di 60% o 40%, di chi vende o di chi compra. Abbiamo capito, ormai, che il futuro è altrove. Facciamo sapere a tutti che da oggi lo cercheremo con maggiore determinazione. Smettiamola di portare il cervello all'ammasso.
Situazione non più sostenibile
Una situazione insostenibile. Non c'è altro modo per definirla.
Quello che è accaduto ieri, prologo forse di una settimana incandescente, è il segnale più forte di un clima ormai irrespirabile dentro e attorno al Taranto.
L'assoluto vuoto di potere societario ha prodotto l'ennesima pagina nerissima della più recente storia rossoblu. Che poteva prevedersi, tanto che già ieri ne avevamo parlato quando paventavamo la possibilità che il gruppo in qualche modo facesse sentire la sua voce. Così è stato, forse neanche qui immaginavamo tanto forte, decisa, in un certo senso clamorosamente dai toni urlanti.
Il gruppo si è stancato di promesse mancate, di parole volate come il vento: dopo aver offerto fiducia - sta lavorando dal 24 luglio - ora ha detto basta. In pratica, è sceso in campo in modo differente: niente calcio stavolta, ma un "gioco" d'attacco frontale alla società, e perciò al socio di maggioranza, Ermanno Pieroni.
Cosa lamenta il gruppo? Non solo la mancata corresponsione degli emolumenti che, al limite, era problema rimandabile a stretto giro, visto e considerato che la squadra sapeva del viaggio di Stanzione ad Ancona anche per questo motivo. Però, il problema economico resta in ogni caso: la squadra vuole giustamente conoscere quando e in che misura percepirà gli stipendi.
Ma i rossoblu hanno alzato la voce soprattutto sulla completa disorganizzazione societaria, su riferimenti inesistenti (i soli Stanzione, Brini e Briganti non possono portare da soli la "croce") sul piano operativo, tenendo anche conto di certi personaggi che gravitano all'interno della società che (oddio, quante volte lo abbiamo detto?) nulla hanno a che fare con il calcio. E la pressione dei risultati che non arrivano ha fatto il resto: non è facile risalire la china in classifica quando non c'è una società alle spalle che ti sostiene in modo energico, sicuro.
Come non dar ragione a Passiatore e compagni? Quello che sta chiedendo oggi la squadra con grande forza è quanto da tempo chiedono tutti (dimenticate gli scioperi della tifoseria?): risolvere la questione societaria una volta per tutte e finalmente dare il via alla ricostruzione.
Adesso si è toccato per davvero il fondo, non c'è dubbio. Nè si può ulteriormente fare appello alla "guerra" fra soci, cedendo al "ricatto" di una pace che non arriva mai: i soci - tutti - la smettano con le ripicche, i protagonismi, le richieste assurde, le risposte a tinte forti. Ognuno di essi faccia un passo indietro e faccia prevalere il buon senso: non è più comprensibile che il Taranto sia e rimanga ostaggio di chi non vuole risolvere il problema, chiunque esso sia.
Da quanto tempo alziamo la voce sulla completa disorganizzazione e quindi inefficienza della società? E da quanto tempo, ancora, chiediamo chiarezza definitiva? E se prima la fiducia incrollabile verso i motivi della ragione che avrebbero prima o poi prevalso lasciava in ogni caso in sospeso ogni discorso, ora non è più tollerabile che ciò accada.
Pieroni, a quanto ha fatto trapelare il presidente Stanzione, avrebbe reagito sostenendo che «adesso i giocatori si assumeranno le loro responsabilità». Lo hanno già fatto, sinceramente, e con il peso di quel che rappresentano: la città intera. Si può star qui a discutere lo strumento scelto, ma è un giochetto a cui nessuno può più prestarsi. La verità è una sola: la società (cioè: tutti i proprietari) deve rispondere come tutti chiedono. E quindi: ristabilire subito un minimo di organizzazione, restituire dignità al calcio rossoblu e smetterla, una volta per tutte, di "duellare" come galletti.
Sarebbe bastato che, magari, Pieroni - quindi chi sta gestendo la società - avesse fatto sentire la sua voce con i giocatori non appena s'è sparsa la notizia dell'ammutinamento: stavolta, non era il caso di reagire... con il silenzio.
Non sappiamo, a questo punto, come andrà a finire. La squadra è decisa e convinta del suo atteggiamento, e va rispettato in pieno: si poggia su motivi validi, seri, non certamente fumosi. E che non vanno assolutamente trascurati, soprattutto strumentalizzati.
Il Taranto non può essere ancora una volta calpestato, o comunque trattato in maniera irrispettosa. I segnali di un clima difficile si erano avvertiti da tempo. Il primo messaggio forte lo aveva lanciato Brini quando, alla vigilia della prima giornata (Taranto-Teramo), fu sul punto di dimettersi. Il secondo messaggio giunse immediatamente dopo quella partita, e proprio per bocca di Passiatore che denunciò le manchevolezze della società. Ora è arrivato quello ancora più forte dalla squadra intera, che potrebbe addirittura scioperare a San Benedetto, rendendo ancora più eclatante e grave la situazione.
Ci chiediamo: come reagirà la società? Con quali strumenti riuscirà, a questo punto, a gestire il momento?
Certo, non è più possibile andare avanti in questo modo, trascinarsi una crisi antica fino all'inverosimile, fintanto che la "corda non si spezzerà" definitivamente, imboccando una strada senza uscita.
E allora, Pieroni faccia sentire il suo parere, le sue decisioni, e non importa se in modo pubblico: basterebbe che parlasse con la squadra, oltre che con Brini, almeno per evitare figuracce ulteriori a livello... planetario.
Poi non si potrà rimandare ancora la soluzione alla vicenda societaria. Si stringano i tempi. Se Pieroni vuole acquistare il 40% in possesso dei soci di minoranza, allora si riapra a oltranza la trattativa, visto che questi ultimi hanno dichiarato nelle scorse settimane di essere disposti a vendere. Insomma, si trovi la soluzione, lo ripetiamo stucchevolmente e fino alla noia. Così, non si può più andare avanti: sia chiaro.
«Non ce la facciamo più»
La denuncia dei giocatori in diretta TV
Bennardo, Di Bitonto, Esposito, Filippi, Passiatore e Triuzzi sono stati i protagonisti, ieri sera, della trasmissione televisiva "100 Sport Magazine", condotta da Gianni Sebastio e che ha ovviamente riguardato quanto è accaduto.
I giocatori rossoblu hanno espresso nuovamente con forza la loro posizione, denunciando le gravissime lacune dell'organizzazione societaria.
«Alcune volte ci sono mancati i medicinali, per non parlare dell'abbigliamento sportivo, dell'acqua, del lavoro svolto mentre ci sono operai sul manto erboso dello "Iacovone"», tra le denunce dei giocatori. «Anche avere i biglietti per i nostri familiari è diventato un problema, uno scaricabarile per esempio fra i collaboratori della sede come Caliandro e Castello. Noi non abbiamo con chi confrontarci, un esecutore, uno che sappia risolverci piuttosto in fretta i problemi quotidiani», hanno aggiunto. E gli stipendi? «È un problema di secondo piano, anche se ci sono alcuni compagni che hanno bisogno di essere pagati: anche in questo caso avevamo fornito un elenco alla società affinchè si risolvessero i problemi economici di questi nostri compagni e non sono stati risolti».
Un coro unanime ma senza mai perdere la fiducia. «No, non dobbiamo perderla e speriamo che Pieroni venga a Taranto e parli con noi, perchè solo lui può risolvere la situazione. E non possono essere Stanzione e Briganti che, vanno capiti, non possono operare evidentemente», è stato l'invito per esempio di Gianluca Triuzzi.
Ora è scattato l'ultimatum dei giocatori: «Entro domani (oggi - ndc) vogliamo avere risposte. Altrimenti, siamo disposti ad andare sino in fondo».
Alla trasmissione hanno partecipato anche un tifoso e alcuni giornalisti, che hanno successivamente commentato quanto ascoltato in trasmissione.
Bomba-Taranto: non si parte
Un'altra giornata calda, infinita. Con polemiche su polemiche, denunce e imponenti prese di posizione. La notizia è che il Taranto non è partito per il ritiro di Porto San Giorgio, fissato domenica dopo la sconfitta interna con il Martina. Una decisione presa in mattinata dalla squadra, un viaggio a vuoto del pullman che avrebbe dovuto portare i giocatori nelle Marche per preparare la sfida contro la Sambendettese.
Scelta clamorosa: i rossoblu non incrociano le braccia, ma lanciano un segnale. Non si parte, ci si allena. Non è un ammutinamento totale, ma ci è molto vicino. Più avanti nella giornata si capisce che lo sciopero vero e proprio è comunque vicino. Le ragioni sono spiegate da Triuzzi prima, da Passiatore poi. Il primo parla di stipendio promesso e non pagato, ponendo poi l'accento sui problemi organizzativi della società, sull'assenza di interlocutori, di dirigenti operativi. Cosa visibile: alla partenza "virtuale" c'era solo la squadra. Che, anche per reazione, ha deciso di non prendere il pullman, di non raggiungere Porto San Giorgio. Il tempo di avvisare Brini e il tecnico, sorpreso e sufficientemente contrariato dalla situazione, si è messo in macchina per raggiungere Taranto.
Nel pomeriggio, poi, la squadra si è ritrovata allo stadio. Ma prima dell'allenamento c'è stato un lungo faccia a faccia tra la squadra e Brini. Durato quasi un'ora e mezza, dal momento del raduno (le 14.45) fino all'attimo in cui il gruppo si è riversato sul campo per lavorare (16.15). Un colloquio serrato, estremamente privato: persino i magazzinieri hanno dovuto attendere oltre la porta degli spogliatoi. Allo stadio c'erano anche gli agenti della Digos, per evitare possibili momenti di tensione che, però, non ci sono stati.
L'allenamento è poi durato un'oretta: solito lavoro del martedì, con carichi supplementari per chi non ha giocato e tre assenti (Panarelli, Di Fausto e De Liguori). Clima molto strano, volti visibilmente nervosi e giocatori sul piede di guerra. In coda all'allenamento Passiatore abbassa i toni sull'aspetto economico e pone l'accento sul lato organizzativo, sullo stato di abbandono che la squadra avverte. E pone una scadenza: stamattina il gruppo si allenerò, ma attenderà risposte. Entro oggi: altrimenti nel pomeriggio non si allenerà e non prenderà parte alla partita di domenica a San Benedetto del Tronto.
Ultimatum esplosivo, che in serata trova ulteriore sostanza in diretta tv (di cui riferiamo a parte). Brini lascia lo stadio intristito, i dirigenti non ci sono: Stanzione è ad Ancona da Pieroni (rientrerà in serata), Briganti ha impegni fuori. Il mercato, nel frattempo, è bloccato, gli appuntamenti slittano perchè i problemi adesso sono altri. Oggi, intanto, potrebbe scendere Tomei per parlare alla squadra. Basterà?
Passiatore: «E' una questione di dignità»
Ciccio Passiatore è il capitano e parla da tale. Spiega le ragioni di una protesta forte, di un segnale esplosivo che pare essere solo il primo. L'allenamento è finito, arrivare in fondo ad una giornata del genere è un compito duro. Passiatore cerca di evitare i taccuini. Poi si ferma e spiega: «E', soprattutto, una questione di dignità. Ci sentiamo soli, abbandonati. Non sappiamo chi può farci da punto di riferimento, a chi chiedere informazioni, a chi chiedere un consiglio: è come se fossimo un figlio abbandonato per strada. Sappiamo chi sono i nostri proprietari, ma non ci sentiamo tutelati».
Protestare in modo rumoroso e promettere di farlo in maniera ancora più clamorosa è un gesto estremo, un punto vicino a quello di non ritorno: «E' giusto che il gruppo si assuma le proprie responsabilità, ma è giusto anche che lo facciano tutti. Serve una svolta da parte di tutti, non si può più rimandare. Con questo gesto abbiamo messo in evidenza una situazione che si trascina da un anno e mezzo».
Triuzzi, in mattinata, aveva toccato l'aspetto economico, motivando la protesta ai microfoni di Studio 100: «Siamo stanchi, così non si può andare avanti. Ci avevano promesso uno stipendio, ma non abbiamo visto nulla. E poi, stiamo per partire per il ritiro e non c'è nessun dirigente. No, così non si può: vogliamo inviare un segnale forte alla società: ci sentiamo abbandonati». Passiatore, dopo l'allenamento, pone l'accento più sulla questione organizzativa: «L'aspetto economico è una cosa secondaria e, dovete crederci, è la verità. Ci preoccupa, invece, non sapere niente, non sapere quali sono le possibilità della società. A volte, poi, una persona di dice una cosa e un'altra dice il contrario. Nello stesso giorno, tra l'altro. Così non si può andare avanti: abbiamo deciso di non partire sperando che serva a smuovere qualcosa».
Arriva l'ultimatum: «Ci siamo allenati, domani mattina (stamattina, ndr) lo faremo ancora. Ma se non arriveranno risposte nel pomeriggio non ci alleneremo e non partiremo per San Benedetto del Tronto. Ci interessa il nostro futuro». Cosa serve, in pratica? «Una persona che abbia potere esecutivo, un dirigente operativo, che possa risolvere i nostri problemi». Il problema spunta adesso, con grande anticipo: «Avevamo speranze, ma abbiamo visto che le cose, anzichè migliorare, peggioravano». La decisione non è in contrasto con Brini, però: «No, Brini era con noi ed è ancora con noi. L'anno scorso la situazione era la stessa e abbiamo resistito. Ma non si può andare avanti in eterno».
Passiatore sale in macchina, Brini esce dallo spogliatoio. Il tecnico non ha l'umore migliore, ovviamente: «Per quello che riguarda il lato tecnico alcune cose non mi sono piaciute e ne ho parlato con la squadra, per il resto condivido». Brini spiega anche perchè condivide le ragioni: «Da quanto tempo sono qui? E cosa è cambiato nell'organizzazione? Ecco, in quasi un anno non è cambiato nulla. E sono cose che io dico da tempo. I giocatori hanno detto quello che io dico da tempo».
La minaccia di non giocare a San Benedetto del Tronto è concreta, Brini, però, tiene bassi i toni: «E' chiaro che ognuno, in questo momento, deve prendersi la sua responsabilità. Ma io dico che è meglio stemperare i toni e aspettare risposte». Il tecnico, intanto, non ha sentito nessuno: «Non dovete chiederlo a me».
Il comunicato della squadra
«Vista la delicata situazione di classifica venutasi a creare e visto il difficile momento che il "Taranto Calcio" sta attraversando, riteniamo sia giunto il momento di dare una svolta.
Premesso che la squadra, con tutti i suoi elementi, si assume le proprie responsabilità e non cerca alibi per i poco incoraggianti risultati ottenuti finora, considerando che, solo con l'impegno di tutte le forze in gioco (squadra, società, tifoseria e media) indirizzate verso un unico scopo, si possono ottenere i risultati che questa città merita, la squadra stessa chiede alla società una presenza ed un impegno più costante ed assiduo.
Per rendere più chiara e forte la richiesta rivolta alla società, la squadra ha deciso di non prendere parte al ritiro di Porto S. Giorgio e qualora non verranno onorate almeno in parte le spettanze economiche sin qui maturate, di astenersi dal prendere parte agli allenamenti.
Con l'augurio che la nostra iniziativa venga interpretata nel modo giusto e serva solo ed esclusivamente a portare benefici al Taranto Calcio».
Seguono sedici firme dei giocatori rossoblu
Il Taranto si ribella
Clamorosa decisione dei giocatori: «Niente ritiro, pagateci gli stipendi». Ultimatum alla società: chiarezza o sciopero
Clamoroso! Altro che ritiro. Ieri la squadra si è ammutinata non partendo per Porto San Giorgio, sede scelta da mister Brini per preparare la difficile trasferta di San Benedetto del Tronto in programma domenica. I giocatori hanno inviato un ultimatum a Pieroni: chiarezza subito o sciopero. Due i motivi della plateale quanto legittima protesta: l'assenza di un referente del patron con poteri esecutivi e la mancata corresponsione degli stipendi arretrati. Nel pomeriggio, dopo un'ora e venti di discussione nello spogliatoio e sessanta minuti di allenamento, capitan Passiatore, a nome dei compagni, ha detto: «Se dopo l'allenamento di domani (stamane, ndr), non riceveremo precisi segnali dalla società, non ci alleneremo e non partiremo per San Benedetto del Tronto».
Ora la "patata" bollente è passata nelle mani di Pieroni. I margini per la trattativa sono ristrettissimi. O arrivano il manager-esecutivo (Tomei?) e gli stipendi. O sarà sciopero.
Ammutinamento!
I giocatori rossoblu dicono basta. Basta ad una società assente, basta agli stipendi non pagati, magari promessi e poi svaniti nel nulla. Dovevano raggiungere Fabio Brini a Porto San Giorgio, in ritiro: era stato proprio il mister ad annunciare la partenza, al termine dell’incontro domenicale post-partita con la stampa. Ma già domenica sera i rossoblu avevano preso la loro decisione, quella di restare ad allenarsi a Taranto, disertando così il ritiro marchigiano. Una decisione clamorosa, una presa di posizione fortissima. Una risposta shock ad una situazione definita ormai insostenibile. "Non ce la facciamo più". Gianluca Triuzzi è il primo ad uscire allo scoperto. E’ il "golden boy" del calcio tarantino, come lo saluta lo speaker dello stadio. Ed è sempre più l’anima di questo Taranto, il simbolo a cui si aggrappa tutto l’ambiente. Poteva andare a Pisa, quest’estate. Ma non l’ha fatto, perchè è innamorato della maglia rossoblu, e della sua città. "Credevo che le cose sarebbero cambiate, che si sarebbe potuto andare avanti. Ma mi sbagliavo, e, ormai, siamo arrivati al limite" . Gianluca è un fiume in piena, nelle sue parole c’è tutta la rabbia, c’è l’amarezza di chi, ogni giorno, si rende sempre più conto di quanto assurda sia la situazione in cui vive. "Non c’è nessun dirigente a cui rivolgersi, nessuno con cui poter parlare. E quando qualcuno si fa sentire, è il solito film già visto. Ci sono sempre e solo le solite promesse. Questo è un messaggio che vogliamo lanciare a tutti" . Un pensiero Triuzzi lo ha per i tifosi, quei ragazzi della Curva con cui è diventato una cosa sola. "Mi dispiace tanto per loro. Ci sono sempre accanto, ma sono sincero: non basta la mano che possono darci, la situazione è troppo grave". Il discorso, naturalmente, verte anche sul piano economico. "La questione degli stipendi va sempre peggio. Le mensilità di quest’anno non le abbiamo viste. Quando si parla di calciatori si pensa che tutti navighino nell’oro, ma qui c’è chi ha chiesto alla società perlomeno i soldi per pagare l’affitto, e non li ha avuti". E Brini? "Lui ci capisce, ci è sempre stato accanto, ed ormai è il nostro solo punto di riferimento". Il senso delle parole di Gianluca è tutto in una frase, poche parole che uniscono la rabbia all’amore del "genietto" per la sua città, e che riassumono perfettamente il momento attuale: "Taranto non merita questo". Se Triuzzi incarna la tarantinità, Giacomo Banchelli è uno dei "nuovi", che avrebbero dovuto garantire al Taranto un campionato da play-off. "In effetti, era quello l’obiettivo che mi era stato prospettato dalla società". Parlare di obiettivi, adesso, fa quasi sorridere. "Ora come ora, è davvero dura. Io sono qui da troppo poco tempo, per analizzare a fondo la situazione, ma mi sento già parte del gruppo, e sto con i miei compagni. Mi rendo conto che il momento è davvero difficile, e poi domenica ci aspetta una partita difficilissima, a San Benedetto. Ed è inutile negare che la posizione di classifica crea ulteriore nervosismo ". Due voci, di due calciatori che con squadra e città hanno un rapporto diverso: un tarantino verace ed un nuovo arrivato. Uniti, però, nel constatare lo stato in cui il Taranto è caduto. Oggi non c’è il solito bollettino di mercato, con i vari Statuto, Cappioli e Cappellini in procinto di firmare e che, puntualmente, ancora non arrivano. Oggi ci sono solo i giocatori rossoblu che escono allo scoperto, c’è solo una crisi che ha raggiunto il punto critico.
Il vaso di Pandora si è rotto. E il futuro è solo mistero.
I giocatori dicono no al ritiro
Protestano per il mancato pagamento degli stipendi
I giocatori della squadra di calcio del Taranto, che milita nel campionato di C1, girone B, questa mattina si sono rifiutati di partire in ritiro anticipato per Porto San Giorgio, nelle Marche, in previsione della gara di domenica prossima a San Benedetto del Tronto contro la Sambenedettese. La squadra ha chiesto per l'ennesima volta il pagamento degli stipendi arretrati (alcune mensilità risalgono alla scorsa stagione) e di avere un punto di riferimento fra i dirigenti della società (da ricordare che il Taranto appartiene a Ermanno Pieroni, patron anche dell'Ancona) per dialogare e avanzare richieste e problemi. Con tutta probabilità la squadra si allenerà oggi pomeriggio, sotto la guida del tecnico Fabio Brini, allo stadio Iacovone di Taranto. La formazione jonica, dopo cinque turni di campionato, è all'ultimo posto in classifica con due punti, frutto di altrettanti pareggi esterni e di tre sconfitte tra le mura amiche.
index
|