Brini: «Ecco le mie
verità»
Fabio Brini, il giorno dopo, è a Taranto. Rintracciarlo
non è facile, riesce solo in serata. E ne viene fuori una chiacchierata
vis-à-vis, un caffè con dentro le verità del tecnico, ormai ex del
Taranto. L'esonero è andato in stampa da tempo, la pagina del giorno
dopo va riorganizzata. Perchè sentire il marchigiano appare doveroso.
Brini ha il volto sereno, la tempesta si anima, però, dentro di lui. Ha
letto le motivazioni dell'esonero, anche se non ha ancora ricevuto il
telegramma che sancisce l'ufficialità. Domande e risposte non sono
lineari, ma nascono volta per volta, senza uno schema, interrotte da
strette di mano da parte di tifosi normali e telefonate di saluto da
parte degli amici di Taranto.
Brini, allora. Che dice dell'esonero?
«Intanto dico che motivazioni più falsi di
quelle che ho letto non ne avevo mai sentite in ventotto anni di calcio.
Probabilmente la serietà predicata per tredici mesi non c'è ancora. Ma
vado via con serenità, perchè ho spiegato in tutti i modi a Pieroni la
via da tracciare. Lui l'ha tracciata, cambiando i personaggi ma non il
prodotto».
Dice che le motivazioni non sono vere. Perchè?
«Leggo che l'esonero è stato pilotato da me.
Beh, non sapevo di avere la forza per esonerarmi da solo. L'avessi
saputo mica ci sarebbe stato bisogno di un direttore sportivo e un
direttore generale. Ma, soprattutto, leggo che ho fatto tutto questo per
i soldi. Questo mi ha dato molto fastidio, perchè è falso: l'anno
scorso sono stato sette mesi senza stipendio. E quest'anno hanno pagato
solo i giocatori, mentre io da luglio non ricevo stipendi. Si sono
palleggiati la responsabilità tra Pieroni, Stanzione e Telegrafo e
quando è successo questo c'era altra gente con me che può confermarlo.
E' una bassezza toccare l'aspetto economico».
Il d.g. Telegrafo dice che non è vero che si è dimesso per due
volte...
«Allora lo ripeto: prima del Teramo, quando vidi
che i programmi che si stavano realizzando non erano quelli concordati,
mi dimisi rinunciando anche alle cinque lire, a tutto. E, soprattutto,
dopo il pari con il Benevento, tramite il mio avvocato ho cercato una
rescissione consensuale. Pieroni non ha accettato. E se un direttore
generale non sa questo, vuol dire che i problemi del passato non sono
stati risolti».
Altra accusa: era demotivato.
«E' facile cercare di riorganizzare la situazione
mettendo in cattiva luce chi ha gestito tutte per tredici mesi solo con
le proprie forze. Ma non permetto a nessuno di dire che ero demotivato.
Soprattutto da chi in uno spogliatoio di calcio non è mai stato, tranne
che in quello dell'arbitro. E non è la stessa cosa. Ma soprattutto una
cosa mi infastidisce...».
Cosa?
«Dire che il mio era un discorso di soldi è
un'affermazione di una persona che non merita rispetto. Se si dice
semplicemente che i risultati e la classifica non erano dalla mia parte,
questo può trovarmi d'accordo, perchè il calcio è questo. Ma
giustificare un esonero dicendo che è pilotato o che è solo una
questione di soldi non lo permetto a nessuno. E, soprattutto, non
permetto di continuare, altrimenti vengono fuori le querele».
Ora il Taranto è guidato dal diesse Barone.
«A proposito di Barone: posso capire che voglia
provare a sollevare lo spogliatoio, perchè, al di là della simpatia o
meno, un cambio di allenatore è sempre un trauma per la squadra. Ma
cercare di rianimarlo tentando di sminuire il mio operato nella gestione
tecnica e fisica non è da professionisti. E siccome la parola
professionisti è per pochi, dico a Barone che se vuol fare l'allenatore
lo faccia, ma lasci perdere il nome di Brini».
Parliamo della squadra: voleva ammutinarsi per difenderla.
«Quando ho salutato i ragazzi, però, li ho
esortati ad andare avanti, senza prendere posizione. Ringrazio i
giocatori che mi hanno chiamato invitandomi a ritornare nel pomeriggio
per parlare e cercare di risolvere la questione. Ma ho dovuto scartare
l'idea perchè alle 12.30 l'esonero era già ufficializzato. Mi hanno
chiamato i giocatori, non Barone. Mai mi ha invitato allo stadio, dice
il falso. E ha detto ai giocatori che non volevo venire perchè non
volevo restare a Taranto. Ripeto, lo invito a non pronunciare più il
mio nome. Altrimenti ci saranno provvedimenti anche per lui».
Brini, allora perchè è stato esonerato?
«Tutto pilotato, ma non da me. Il direttore
sportivo voleva fare l'allenatore e cercava di mettere in cattiva luce
chi, per tredici mesi, al di là dei risultati, è stato a contatto con
veri uomini, come ritengo i giocatori».
Ma, dice Barone, ha rifiutato di parlare con lui...
«Ma Barone mi dice che voleva capire se avevo
ancora entusiasmo. Ma, scusate, con tutto il rispetto per Barone e per
le categorie, io non ho allenato nei dilettanti o in prima categoria,
come posso non avere entusiasmo. Era lo stesso di un anno fa, di cinque
anni fa, di venti anni fa. Si chiede a me dell'entusiasmo? Se si cercano
scuse non ci si appigli a falsità. Sono costretto a ripetermi: fosse
stato motivato per i risultati sull'esonero non avrei avuto nulla da
dire. Ma non si parli di esonero pilotato da me, di soldi o di
demotivazione. E attenti a ripeterlo, perchè porto tutti in tribunale».
Poi non ha voluto sentire neanche Pieroni. Perchè?
«Spiego: alle 9 entra Barone e mi dice che
Pieroni vuole vedermi giovedì o venerdì ad Ancona. Che vuol dire? Che
ero esonerato e voleva trovare un accordo, altrimenti non mi
allontanavano dalla squadra. Poi arriva la telefonata di Pieroni e
Barone dice che non voglio parlare. Ma non c'era bisogno se l'esonero
era deciso. E poi, se Pieroni voleva parlare con me perchè non l'ha
fatto lunedì, come spesso faceva, o martedì? E' stata una delusione:
conoscevo il Pieroni di Ancona, quello vicino a squadra e allenatore.
Questo è un'altra persona. Il primo Pieroni sarebbe intervenuto al
primo nome sul giornale».
Cosa si rimprovera?
«Essermi preso responsabilità che non erano di
mio competenza. L'ho fatto perchè credevo nel progetto. Adesso, invece,
il mio rammarico è non aver fatto prima quello che ho fatto adesso.
Evidentemente è stato ritenuto più facile cacciare l'allenatore, per
interessi soprattutto politici, che sistemare le cose».
Si sente un allenatore scomodo?
«Evidentemente lo sono stato per parecchi, è
fuori dubbio. Fino a oggi chi ha lavorato per il Taranto lo ha fatto
poco per il Taranto e molto per interessi personali. Questa cosa io non
la sopporto: nella vita che c'è stata data, c'è stata data educazione
e moralità. Chi ha una famiglia sa che certi valori vengono prima di
tutti».
Brini, perchè così duro?
«Non si è parlato di calcio parlando del mio
esonero. E allora non ne parlo nemmeno io. Credo ci siano interessi
anche politici dietro questa decisione. Lo dico perchè ho ulteriori
conferme: sto parlando con voi, adesso, ma nessun altro mi ha chiesto se
le motivazioni date erano reali. Evidentemente va bene così. E l'accusa
che non rispondo al telefono è un'altra falsità che riconduce agli
interessi di sopra. E' facile parlare senza chiedere a chi non era
presenta la verità».
Il rapporto con Pieroni è rotto. O è possibile una ricucitura come
successe dopo l'esonero ad Ancona?
«Allora lui riconobbe l'errore. Perchè dopo il
mio esonero arrivarono otto giocatori nuovi. Riconobbe l'errore e per me
non ci furono problemi. Ora non è più il Pieroni di allora: è il
momento in cui le nostre strade si dividono. Quando c'è una mancanza
dal punto di vista professionale si concede una volta, alla seconda non
c'è più possibilità di continuare».
La società non ha scritto un rigo di ringraziamento nel comunicato. Che
ne pensa?
«Non mi aspettavo i ringraziamenti. Perchè non
ho mai elemosinato amicizie con taluni personaggi per ottenere
benevolenza. Io i ringraziamenti li ho ricevuti dai tifosi. Ed è la
cosa che più mi fa piacere, mi gratifica per tredici mesi di lavoro.
Non parlo dei risultati, anche se nella passata stagione li abbiamo
ottenuti, ma parlo per il lato umano, messo in discussione da altri.
Ora, se me lo permettete, i ringraziamenti li faccio io...».
Prego.
«Un ringraziamento particolare va a Gaetano
Petrelli: mi auguro che questo patrimonio che sta mettendo a
disposizione non venga buttato via. Così come mi auguro che non venga
rovinato il patrimonio calcistico di uomini che c'è nello spogliatoio.
E ringrazio i preparatori, i massaggiatori, i magazzinieri, lo staff
medico e gli amici di Tifo è Amicizia. Non so, invece, quali
parole adoperare per ringraziare tutti questi stupendi tifosi. Dico
semplicemente grazie per avermi fatto conoscere realmente una piazza che
tutti mi definivano brutta e difficile. Da oggi in poi posso dire che
tutto questo non è vero. E porterò sempre con me il ricordo di tutte
quelle persone che mi hanno conosciuto e stimato».
Ora può dirlo: cosa ha provato quando, in Trentino, vide gli ultrà
appendere lo striscione "Brini uno di noi"?
«Guardate: per un allenatore ricevere certi
messaggi non è facile. Non mi era mai capitato: mi avevano chiamato,
avevano fatto cori. Ma uno striscione mai: è stata una responsabilità
maggiore, dovevo dimostrare di essere uno di loro anche se non ero di
Taranto. E dal lato umano sono stato uno di loro. Dal lato calcistico
quest'anno no. Ma ho sempre rispettato tutto e tutti, parlando ogni
volta che me l'hanno chiesto, senza la copertura di una società».
Quale era il suo obiettivo a Taranto?
«Volevo cambiare a livello culturale una società
dove la serietà non è radicata. Ma non sempre la serietà e l'onestà
pagano. Probabilmente a Taranto c'è bisogno di altro».
Perchè è ancora a Taranto?
«In tredici mesi ho conosciuto tanti amici e per
salutarli tutti non basterebbero quindici giorni. Se non riesco a
salutare tutti torno la settimana prossima. E poi io non scappo, non
scapperò mai: anche se qualcuno mi dava già a casa».
Ma appena rientrato che farà?
«Sicuramente un po' di vacanza: quest'estate,
visto che dovevo trovare anche il ritiro, non l'ho fatto. E lo devo alla
famiglia, che ha fatto tanti sacrifici. Poi andrò all'estero per
aggiornarmi. Anche perchè qui non se ne vedono tante: ho sentito un
allenatore di A italiana dire che la novità di quest'anno è il
giocatore tra le linee dietro le punte. Lo dico con presunzione: giocavo
già l'anno scorso così. Allora vado a trovare qualcosa di nuovo
all'estero».
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